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“Crash” di David Cronenberg a Venezia Classici 2019

“Mi piacciono tanto le manie. Ne coltivo qualcuna e ne parlo anche, qua e là. Le manie possono aiutare a vivere. Compiango gli uomini che non ne hanno”. Non è difficile pensare a un accostamento, o meglio, a una comunanza di idee e immaginario tra l’autore di quest’affermazione Luis Buñuel e le difformità del cinema di Cronenberg, perché in entrambi è vitale il bisogno di dare forma a tutto il rosario di corpi martirizzati che conosciamo e lo sguardo cinematografico legittima così ciò che fino a ieri era proibito. In Crash, come in Bella di giorno (1967) o Tristana (1970) lo spettatore è ingabbiato nella brutalità di un eros che sconfina nel grottesco e nell’aberrante, in un fuori dall’ordinario che però lo attanaglia. Le ossessioni per le offese corporali di stampo sadiano riecheggiano nelle immagini di Cronenberg e nel feticismo per le carni dilaniate e metalliche di Crash.