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“A Complete Unknown” e il rifiuto di dare spiegazioni
Non importa sapere chi sia davvero Bob Dylan, che cosa abbia fatto nella vita, o come sia diventato ciò che è (e guai a chiedergli da dove vengano le sue canzoni): il punto è proprio l’inafferrabilità. A maggior ragione, una volta raggiunto un certo status, una volta che il ragazzino diventa Dylan, il personaggio inizia a nascondersi. Indossa quel paio di occhiali quasi fossero il cappello di Clint Eastwood nella trilogia del dollaro
“Le Mans ’66 – La grande sfida” tra saggio e agiografia
Le Mans ’66 scintilla al sole come le macchine di Ferrari e Shelby, con le loro linee morbide, la tenuta di strada, il maestoso ruggito del motore, e in linea con gli artisti che le progettavano si pongono i realizzatori: per lo spettatore stanco di correre, di casino, di falsità, di tutta quella gente, hanno in serbo un’esperienza tattile – dunque autentica – fatta di vernici lucide, sedili in pelle rossa che scricchiola, confortanti coperture in legno – le venature esposte, caldissime – e ancora orizzonti aperti, parole franche che schiacciano quelle meschine e interessate, respiro ampio che enfatizza il suo stesso carattere classico. E se serve una firma, oggi non c’è artigiano specializzato che sia pari a James Mangold per capacità di farci sentire a casa, al riparo dalla tempesta, nel rifugio del Cinema Di Una Volta.