Nell’ambito della rassegna Art City Cinema, le sale del Lumière ospitano svariate pellicole d’arte o che parlano d’arte. È questo il caso di Art War, film datato 2013 diretto dal regista tedesco Marco Wilms, il quale documenta le rivolte egiziane del gennaio 2011, che portarono alle dimissioni di Mubarak, l’11 febbraio, la vittoria alle elezioni di Mohamed Morsi, il golpe e l’instabilità politica e sociale che ha determinato numerosi scontri e violenze. “In Egitto non si erano visti graffiti per decenni ma dopo la caduta di Mubarak giovani artisti scesero nuovamente nelle strade e nelle piazze. Questo film racconta la loro storia”.
La pellicola comincia con queste parole; Marco Wilms, con la sua macchina da presa, segue alcuni giovani artisti, il writer Ammar, la cantante electro-punk Bosaina, il graphic designer Ganzeer ed il cantautore Ramy Essam cercando di testimoniare e diffondere il potenziale ruolo dell’arte all’interno di un movimento rivoluzionario. L’autore tedesco li ha seguiti, pedinati, scendendo in strada con la macchina da presa, infilando la maschera anti-gas, camminando fianco a fianco con i giovani rivoltosi, raccontando le loro storie, i momenti euforici e quelli di sconforto, in quell’Egitto che, dopo aver spodestato il presidente/dittatore Mubarak, pensava, dopo trent’anni, di aver finalmente imboccato la strada verso la tanto agognata libertà. Sarà eletto Mohamed Morsi, di Libertà e Giustizia, il partito dei Fratelli Musulmani, il quale cercherà ad ampliare i propri poteri finendo per essere destituito da un golpe militare nel 2013. Ma questa è storia.
Il regista proviene dal cuore della Berlino Est, nella quale è nato e cresciuto, quando il muro era ancora solido e divideva in due l’attuale capitale tedesca. I fatti della Primavera Araba e, nello specifico, le vicende egiziane, riportarono alla mente di Wilms (secondo le sue dichiarazioni) i giorni della caduta del Muro di Berlino e lo indussero a voler documentare questa rivoluzione, fatta di persone nelle quali si rivedeva, giovani con la stessa età e voglia di libertà che aveva lui nel 1989. Dopo decenni i muri egiziani tornano a essere scritti, in un Paese la cui arte più antica era proprio murale, rievocando la storia, rinnovandola e utilizzando l’arte come una potente arma politica e sociale. E le immagini di Wilms risultano altrettanto importanti e potenti.
La forza del documentario sta nel cercare di mostrare (ed essere efficace nel farlo) quale differenza possa fare un ambiente culturalmente energico e dinamico. L’Egitto dimostra di avere un focolare giovanile attivissimo e pronto a sovvertire il sovvertibile in nome di democrazia e libertà, non accontentandosi delle piccole conquiste, perseguendo sempre l’obiettivo in nome di un ideale chiamato giustizia. L’arte e la cultura in genere si dimostrano una volta di più il miglior modo di far fronte all’ottusità e all’ignoranza, vero humus dei totalitarismi. Questi giovani artisti ne sono consapevoli e utilizzano le armi che hanno a disposizione per la loro causa, collaborando, divertendosi, ma incontrando anche fatica, sconforto e dolore, momenti in cui il pessimismo pervade la mente, occludendo qualsiasi spiraglio di luce. Fortunatamente la vita di tali momenti è lunga giusto il tempo di uno sfogo, una lite verbale a causa di una scritta ironica su una felpa o un pianto per essere stati brutalmente cacciati da un locale.