Donne in amore (1969) è un film di Ken Russell tratto dall’omonimo romanzo di David Herbert Lawrence e ambientato nel 1920 in un’Inghilterra in cui ancora si piangono i tanti morti del primo conflitto m0ndiale erigendo monumenti commemorativi, un periodo storico che vede per la prima volta le donne rivendicare i loro diritti e che nel nostro caso diviene teatro dell’emancipazione di due sorelle.

A Beldover, situata in una zona economicamente dipendente dalle miniere di carbone, vivono Ursula (Jennie Linden) e Gudrun Brangwen (Glenda Jackson al suo primo film con Russell), rispettivamente un’insegnante elementare e una scultrice, entrambe si avvicinano alla borghesia industriale e intellettuale, la “gente che conta” del loro paese, entrando involontariamente nei meccanismi non solo di potere, ma soprattutto psicologici di una società che si rispecchia in valori estranei alle due giovani protagoniste.

Gudrun al contrario di Ursula ha studiato a Londra, l’ambiente artistico che ha frequentato ha cambiato definitivamente la sua concezione della vita, così distante dalle prospettive limitate di Beldover dove tuttavia ha deciso di tornare, una cittadina che si fa sempre più stretta e opprimente e che la costringe a pensare che il matrimonio sia un’esperienza utile a migliorare la sua condizione. Gerald Crich (Oliver Reed), figlio di un ricco industriale minerario, diviene l’oggetto delle attenzioni di Gudrun mentre l’amico Rupert Birkin (Alan Bates), nonostante l’ambiguo rapporto con la sofisticata Hermione, convolerà a nozze con Ursula.

La trama viene attraversata dal dualismo tra Eros e Thanatos, si ritrova nelle pose e nei costumi decadenti di Hermione che ricordano le danzatrici di Demêtre Chiparus, ma anche nel ballo di Gudrun, un’immersione sensoriale nell’ambiente naturale con richiami alle danze di Isadora Duncan (è d’obbligo un confronto con Isadore Duncan: The Biggest Dancer in the World, di cui Russell cura la regia televisiva nel 1966); inoltre una giovane coppia di sposi, che presto troverà la morte per annegamento, sottolinea fin dalle prime immagini questa costante presenza simbolica alla quale fa da sfondo una natura affascinante e sinistra.

L’accurata ricostruzione storica del regista trova nei dettagli conferma del ruolo fondamentale che questi assumono nel delineare i personaggi, notevole la scelta dei costumi disegnati da sua moglie Shirley Russell e sfoggiati con disinvoltura da Gudrun quasi volendo impersonare le donne di Tamara de Lempicka (non secondari i riferimenti al quadro Saint Moritz quando questa si trova in vacanza a Zermatt in Svizzera) o le modelle disegnate sulle copertine di Vogue, una di queste è appesa nella sua stanza come un trofeo, un Pierrot lunaire di George Wolfe Plank (1917) e interpretato da Twiggy qualche anno dopo. Gli anni '20 saranno successivamente rivisitati dal regista in The Boy Friend (1971) e nel 1977 con Valentino.

Ken Russell, forse involontariamente, si fa portavoce del revival Art Déco che si diffonde alla fine degli anni Sessanta in Europa e in America (nel 1966 si svolge la prima esposizione di Art Déco al Musée des Arts Décoratifs di Parigi), si pensi soprattutto alla moda, alla fotografia e più in generale alla grafica Pop di ispirazione Déco, decorativa e kitsch in egual misura.

Come spiega lo studioso Bevis Hillier nei libri pubblicati a ridosso di questo fenomeno “retrochic”, inizialmente a buon mercato, che coinvolge i giovani in una caccia nei mercatini dell’antiquariato di pezzi non ancora rivalutati dai collezionisti, la nascita del negozio di moda londinese Biba contribuisce alla diffusione dell’estetica Déco in Inghilterra, un gusto a cui si avvicina l’ambiente rock, ne è un esempio la copertina del disco A Collection of Beatles Oldies e in modo ancora più evidente Paul McCartney utilizza la riproduzione di una danzatrice di Chiparus in Wings Greatest.

La locandina pubblicitaria di David Edward Byrd, anch’essa di ispirazione Déco, dell’opera rock Tommy degli Who presentata nel 1969 al Metropolitan Opera House di New York ci serve per tornare a parlare di Ken Russell che con il suo Tommy (1975) consacra definitivamente questa estetica rock sia negli interni, nelle carte da parati, nei costumi e nella scena della vergine di Norimberga,  un po’ Metropolis e un po’ Acid Queen.