C'è una pandemia in corso: si perde la memoria tutto a un tratto, e si viene accompagnati in ospedale. Dopo essere stati sottoposti a estenuanti test medici, utili a suggerire qualcosa più della mente dei dottori che dei pazienti, si viene rispediti a casa con una diagnosi e senza una cura. Questo, a meno non si fosse senza documenti al momento della sciagurata fatalità, nel qual caso la scelta non può essere che restare per sempre nel limbo dell'ospedale oppure uscire ritrovandosi di fatto in una vita completamente nuova.

Quest'ultimo caso corrisponde a quello del protagonista di Apples, film presentato al Festival di Venezia nel 2020: l'uomo, solo in una casa spoglia assegnatagli dalle autorità, si ingegna a tentare di superare le tappe prestabilite dai medici a certificazione del suo recupero alla vita sociale, fra il surrealismo puro della cattura di un persico e l'arbitrarietà evidente dell'avventura sessuale di una notte in discoteca. Il tutto mangiando mele, nonostante il fruttivendolo suggerisca le arance come maggiormente indicate al recupero della memoria, e osservando l'amore nei film in TV.

Per il suo debutto nel lungometraggio Christos Nikou, già assistente alla regia di Yorgos Lanthimos per Dogtooth, sceglie una storia da lui stesso co-scritta e molto in linea coi dettami della Greek Weird Wave, la corrente implicita nata coi lavori dello stesso Lanthimos e di Athina Rachel Tsangari: in primis la scelta come mattatore assoluto di Aris Servetalis, da lui già utilizzato per il corto Km (2012), il cui volto quieto, stralunato e dolente è diventato una cifra distintiva delle opere del movimento, già al centro di Alps di Lanthimos e L di Babis Makridis; e poi la pulizia e l'austerità della narrazione, il racconto di un mondo assurdo eppur plausibile, un protagonista solo e alienato, un'esteriore atarassia dei sentimenti, e una critica sociale alla contemporaneità indiretta quanto feroce.

Gli sberleffi senza divertimento di Nikou si appuntano in particolare sulle esperienze ritenute indispensabili dalla società per considerare gli individui integrati e normali, sui consigli precostituiti in merito a cosa possa dare un senso all'esistenza, sulla certificazione delle esperienze vissute tramite la prova fotografica e in senso più largo sull'esizialità del concetto di salute mentale. Ma per quanto non manchi un certo gusto baldanzoso dell'argomentazione (divertente come il massimo modello aspirazionale propinato al protagonista sia un tale che è riuscito a lanciarsi col paracadute e a farsi ritrarre accanto a una donna seminuda) la struttura sottostante risulta eccessivamente derivativa e poco personale. Chi poi sappia qualcosa di studi sulla memoria, noterà alcune incongruenze fra tipologie distinte della medesima, fra breve e lungo termine, fra script procedurali e abilità sociali apprese.

Il finale, con un colpo di scena intrigante e appropriato nel generare nuovi sensi, è sicuramente il punto forte di Apples. Ma, per quanto insolito nel caricare di sfumature volontaristiche un tema portante della Greek Weird Wave, quello della perdita del significato, non riesce pienamente a sostenere l'intera esperienza di visione.