Presentato durante la Mostra del Cinema di Venezia del 2020, all’interno della cornice della Settimana Internazionale della Critica, Bad Roads – Le strade del Donbass (di qui in avanti solo Bad Roads) viene distribuito ora nelle sale italiane grazie, o meglio, a causa della spinta mediatica offerta dai tristi avvenimenti di guerra a cui ormai da oltre due mesi siamo abituati. Diretto dalla regista esordiente Natalya Vorozhbit, il film è tratto da una pièce teatrale firmata proprio dalla medesima autrice, che intreccia quattro storie di alta tensione ambientate in altrettanti (non) luoghi della purtroppo ormai celebre regione ucraina.
Bad Roads attua sul grande schermo una sineddoche della tensione bellica che da diversi anni riguarda Russia e Ucraina. Raccontando quattro storie tutto sommato “intime”, popolate da personaggi comuni e solitari, il film cerca di restituire la complessità e la tragedia di una guerra che ha privato quelle popolazioni della caratteristica più preziosa di tutte: l’umanità. A cominciare dal primo, bellissimo, episodio, la pellicola prende per mano lo spettatore per condurlo in una bolla isolata dal resto del mondo. Le quattro locations utilizzate dalla regista potrebbero infatti esistere ovunque, in una terra desolata dove il panorama restituisce il vuoto esistenziale e apatico di uomini e donne ormai sprofondati nel baratro.
Vorozhbit è abile nell’accrescere la tensione in scena, tanto con le parole dei suoi personaggi quanto con le loro reazioni. Sembra che tutto possa esplodere da un momento all’altro nonostante la miccia venga innescata da un evento ampiamente “risolvibile” (eccetto quello del terzo episodio, non a caso il più crudo e insostenibile della tetralogia). Dovendo fare i conti con un’impostazione drammaturgica statica propria del teatro, la regista è abile nell’usare la macchina da presa per accrescere il disagio e la tensione di chi guarda giocando con il fuori campo. Fateci caso, è (quasi) sempre al di là della cornice dello schermo che la violenza ha inizio (la ragazza scomparsa nel primo episodio, il fidanzato tanto atteso nel secondo, la violenza psicologica del terzo e l’uccisione della gallina nel quarto).
Bad Roads racconta la paura e la tragedia della guerra del Donbass, ma non le porta mai in scena. Proprio come i luoghi di ambientazioni e i connotati dei personaggi, anche il dramma a cui si fa riferimento è universale e intercambiabile con qualsivoglia conflitto. Non si tratta di un film sulla crisi dell’Europa orientale, quanto sulla crisi umana. Le strade sbagliate presenti nel titolo non sono quelle percorse erroneamente da alcuni personaggi, quanto quelle lastricate da anni e anni di conflitti irrisolti, di odio e tensione repressa che, inevitabilmente, prima o poi vengono a galla.
Sarà allora impossibile giudicare e tracciare una chiara e netta linea di confine tra bene e male, umano e animale, vittima e carnefice. I ruoli sono destinati a sovrapporsi, a mischiarsi e alternarsi fino a che diventerà sempre più complesso essere in grado di seguire le strade buone. Fortuna che in questo intricato labirinto, il cinema può ricoprire il ruolo di una bussola con la quale orientarsi.