A partire dagli Sessanta il cinema iraniano entrò in una fase di completo rinnovamento. Ebbe inizio la Nouvelle Vague iraniana, l’emergere di nuovi cineasti che cambiarono drasticamente la narrazione, l’estetica e l’idea stessa di cinema in Iran.

Questo fortunato periodo, che durò diversi decenni e portò all’esordio di autori fondamentali come Abbas Kiarostami e Jafar Panahi, vide tra i suoi protagonisti più interessanti Bahram Beyzai. I film di Beyzai riescono a sintetizzare perfettamente le caratteristiche principali di questa nuova corrente: lo stile poetico e allegorico, l’estetica realista, l’interesse per il mondo contadino e, soprattutto, il rifiuto dello sguardo maschile in funzione di una valorizzazione della soggettività femminile.

Di recente due film di Beyzai sono stati restaurati: Gharibeh va Meh (Lo straniero e l’ombra, 1974) e Cherike-ye Tara (La ballata di Tara, 1979). Si tratta di due film gemelli, uniti dalle medesime premesse culturali nonché da alcuni tratti artistici di grande impatto.

Gharibeh va Meh, restaurato nel 2023 da The Film Foundation’s World Cinema Project e la Cineteca di Bologna, narra l’arrivo in un villaggio sul mare di uno straniero di noma Ayat, il quale non ha memoria del proprio passato. Col passare dei giorni, la convinzione di essere perseguitato da qualcuno che lo sta cercando porta Ayat a porsi molte domande sulle persone che lo circondano. Ricco di allegorie e simbolismi, il film di Beyzai procede lento lungo le sue oltre due ore per offrire un ritratto accurato del villaggio protagonista. L’inizio e la fine del film, esattamente speculari, regalano un andamento circolare che rafforza il significato simbolico del racconto.

Ma a colpire di questo film è soprattutto l’immagine. Grazie anche al recente restauro, Gharibeh va Meh conquista per i suoi colori, la nebbia che riempie lo schermo, i movimenti di macchina che drammatizzano le scene e regalano un’esperienza decisamente coinvolgente. Il film venne proiettato nel 1974 al Teheran Film Festival, dove raccolse aspre condanne da parte della critica dell’epoca, che lo ritenne antireligioso e incomprensibile. In realtà il film di Beyzai cercava di tradurre in immagini un sentimento diffuso che sarebbe sfociato cinque anni dopo nella Rivoluzione iraniana, che avrebbe trasformato il Paese in una Repubblica islamica sciita.

Proprio nel periodo della rivoluzione Beyzai completò Cherike-ye Tara, da subito messo al bando per l’idea di femminilità che proponeva. Così come avveniva, seppur in maniera meno incisiva, in Gharibeh va Meh, Cherike-ye Tara presentava un personaggio femminile estremamente diverso dai canoni del cinema iraniano degli anni Settanta. Tara, interpretata dall’esordiente Susan Taslimi, è una donna sicura di sé, forte, che trasmette con le parole ma anche con il corpo una forza inedita, capace di tenere testa ai personaggi maschili che la circondano. Non c’è mai alcun tipo di oggettivazione dell’attrice e del personaggio, noi spettatori siamo posti alla sua altezza e viviamo quello che vive lei dall’inizio alla fine del film.

Anche qui torna il simbolismo tipico di Beyzai, la potenza espressiva delle immagini intrecciata con il realismo delle ambientazioni e dei personaggi. La protagonista Tara si ritrova vedova e contesa tra un giovane del suo villaggio e il fantasma di un guerriero caduto che cerca la pace eterna. Impossibile vedere questo film in questi anni senza pensare all’Iran contemporaneo, alla lotta delle donne di oggi, a dimostrazione di come il cinema di Beyzai sia non solo attuale, ma anche in grado di farci ragionare sui motivi che hanno portato al mondo che stiamo vivendo.