Il documentario di Robert Gordon e Morgan Neville proiettato in questi giorni al Biografilm Festival racconta del dibattito televisivo del 1968 trasmesso sulla ABC tra il conservatore William Buckley e il democratico Gore Vidal. Saggista, giornalista e conduttore televisivo, Buckley fu il fondatore nel 1955 del magazine National Review, che si propose come luogo di confronto e dialogo tra conservatori, repubblicani, liberali e anticomunisti. È inoltre ricordato per aver condotto Firing Line sulla PBS. Dall’altra parte abbiamo Vidal, scrittore, saggista e drammaturgo famoso per le sceneggiature di Ben-Hur di William Wyler e Improvvisamente l’estate scorsa di Joseph L. Mankiewicz, e per il libro satirico del 1968 Myra Breckinridge (dal quale due anni dopo Michael Sarne ne avrebbe tratto un film).

I due si odiano. Tanto. Principalmente perché l’uno pensa dell’altro la stessa cosa: che rappresenti un pericolo per l’America. Buckley riteneva che le idee progressiste di Vidal avrebbero portato gli Stati Uniti sull’orlo del precipizio, e Vidal pensava la stessa cosa di quelle conservatrici di Buckley. Gordon e Neville ci raccontano la storia di quel duello che cambiò le regole della televisione americana e mondiale con un documentario dal ritmo eccellente, ricco di inserti accattivanti e interessanti commenti di sociologi, professori e studiosi della comunicazione. È un vero e proprio saggio sulla televisione. Lo scopo è interrogarsi su quanto il dibattito politico dopo quell’episodio (secondo i registi decisivo) sia cambiato, ed abbia sostituito sul piano dell’importanza il concreto scambio di opinioni con il litigio a sfondo personale.

Può sembrare una riflessione banale e pretestuosa ma a ben vedere il film offre delle considerazioni molto più amare e tangibili di quanto siamo disposti ad ammettere, soprattutto se gettiamo lo sguardo sul panorama televisivo contemporaneo nostrano. Quanto sarebbe durato Vittorio Sgarbi se non avesse mai trasformato in una rissa qualunque programma in cui è stato ospite? Fino a che punto i battibecchi da Lilli Gruber tra Andrea Scanzi e qualunque esponente di qualunque partito possono essere considerati ancora approfondimento politico? Quand’è che le arene di Michele Santoro (e ora di Giulia Innocenzi) smettono di essere informazione per diventare quelli che Silvio Berlusconi chiamava “pollai”? E perché durante la copertina di Maurizio Crozza a Ballarò ho la sensazione che la satira non compia esattamente il proprio dovere, portando lo scontro diretto tra il comico e i politici in studio ad una pantomima delle emozioni?

Best of Enemies si interroga su questo. L’eloquio raffinato pieno di frecciatine pungenti di Buckley e Vidal pian piano prende una piega sempre più incandescente fino a degenerare in uno scambio di epiteti talmente fuori dal comune per quei tempi che gli addetti ai lavori della ABC pensarono: “Possono dirlo in televisione?”. Ma ormai era fatta.