“Avevo sedici anni quando mio padre lasciò Roma per l’India con un biglietto di sola andata. Vivevo con lui, e vidi il mio intero mondo andare in pezzi. Oggi, alla vigilia della nascita del mio primo figlio, questo film è stata la mia terapia, il mio viaggio verso la paternità”. Con queste parole Ramchandra Pace descrive sul suo blog Samsara Diary, primo lungometraggio del giovane regista romano presentato in questi giorni al Biografilm Festival.
Ed è effettivamente arduo trovare termini più azzeccati per parlare di questo atto per l’appunto terapeutico che Pace compie per potersi emancipare dalla figura del padre, un tempo Alessandro e ora Krishna Nath. Quest’uomo già molto appassionato di induismo quando Pace era piccolo, dopo dieci anni di assenza torna nella vita del figlio nelle vesti di un baba, santone e guida spirituale induista. La pellicola racconta del loro delicato rapporto partendo dagli inizi, grazie al recupero di filmati amatoriali che toccano le corde della tenerezza e della nostalgia al tempo stesso, presentando situazioni di vita famigliare all’insegna dell’attitudine più hippie attraverso la visione di vecchie VHS e super 8 salvati per miracolo dall’umidità di una cantina.
Ah, quanti ricordi condivisi la naturalezza di quegli sguardi in macchina dalla definizione sgarbata, illuminazione grezza e audio confuso. L’HD era un’utopia. Come non sciogliersi vedendo inoltre la data della registrazione che restava sulla pellicola a fare da corredo a tutto ciò? Attraverso pochi ma significativi passaggi di normalità quotidiana, Pace resuscita un mondo che avevamo quasi dimenticato. E solo per questo Samsara Diary è un notevole lavoro d’archivio e restauro che si sposa perfettamente con gli stilemi del racconto biografico.
Ma la vera impennata la fa nella seconda parte. Nello scontro dialettico tra i ragionamenti da laico occidentale del figlio e gli assiomi filosofico-spirituali del padre, spesso (come gli viene fatto notare) al limite del fanatismo. Si potrebbe aprire una parentesi grande come l’India su quanto sia labile il confine tra l’aspirazione alla conoscenza e l’obbedienza ad un guru che la promette. Tra l’amore per il sapere e quello per il sapientone. Ma non è di questo che vuole parlarci Pace, troppo rispettoso nei confronti del padre per affrontare appieno l’argomento. Per ora gli basta ragionare con lui (e con noi) sul loro rapporto in senso stretto e puramente personale. Krishna Nath vede Ramchandra come un figlio o un discepolo? Per lui è ancora un padre o un maestro spirituale?
Queste le domande al centro di uno dei documentari più interessanti proiettati a questo Biografilm. Un autentico lavoro di confronto generazionale e culturale che il regista dedica alla nascita del suo primo figlio, come a volerci suggerire che se vogliamo costruire un futuro dobbiamo fare rispettosamente i conti con le nostre radici.