Recentemente restaurato da Criterion Blow Out di Brian De Palma usciva nel 1981, solo un anno dopo l’acclamato Vestito per uccidere. In Blow Out permangono tanti temi del regista a partire dalla sua passione per i b-movie, fino a quello del voyeurismo, ma torna soprattutto la sua ossessione per le cospirazioni che fu centrale in Greetings, il suo primo lungometraggio.

Il film inizia con la soggettiva di un serial killer che si aggira nei dintorni di un dormitorio femminile. Come però ci rivelerà poco dopo l’urlo sguaiato della povera vittima, sorpresa dal killer nella doccia, si tratta di un film nel film, un b-movie a cui Jack Terry (John Travolta), il protagonista, sta lavorando come fonico. Dopo questa iniziale gag Jack si trova in giro di notte a registrare suoni di repertorio e per puro caso assiste a un omicidio.

Una macchina guidata dal governatore McRyan, probabile futuro presidente degli Stati Uniti, finisce improvvisamente fuori strada precipitando in un fiume. Jack si getta subito in acqua e riesce a salvare solo Sally (Nancy Allen), una ragazza presente nell’auto con cui inizierà una tribolata relazione. La stampa farà passare la morte del politico per un incidente e l’affermazione della verità diventerà un ossessione per il protagonista.

Come Blow-up di Antonioni, da cui chiaramente ha subito una forte influenza, Blow Out lavora sulla stretta connessione tra la realtà e la sua riproduzione, in questo caso non fotografica, ma sonora. Fino a che punto la rappresentazione della realtà corrisponde alla verità? A differenza di Antonioni De Palma non ha dubbi e dà al suo film un carattere fortemente politico: la rappresentazione è verità.

Infatti, già nella prima mezz’ora viene rivelata l’identità dell’assassino, Burke (John Lithgow), che senza l’approvazione del suo mandante ha sparato alla gomma dell’auto del governatore facendogli perdere il controllo del veicolo. È una presa di posizione netta che sfugge al film stesso e chiama in causa i tanti cadaveri eccellenti che in quegli anni riempivano le testate giornalistiche; primo tra tutti quello di Kennedy il cui omicidio ha ossessionato lo stesso De Palma in gioventù.

De Palma si fa portavoce dello spirito del suo tempo rappresentando, attraverso il personaggio di Jack, il senso di irrilevanza dell’individuo di fronte al potere, unico depositario di una verità artificiale e svilita, tanto da ridursi simbolicamente ad un effetto sonoro in un film horror di bassa lega. Questo senso di impotenza pervade tutto il film e scaturisce impietoso dalle scelte dei personaggi, che sembrano condannati al fallimento da un fato maligno, burattinaio delle loro azioni. Forse quel burattinaio, quel destino crudele, sono proprio gli Stati Uniti, la cui bandiera sventola indifferente alle spalle dei protagonisti nella drammatica scena finale.

Pur apparendo come un thriller classico e ben strutturato, il film si distingue per una certa tensione comica, perfettamente in linea con il culto dell’eccesso di De Palma che strizza l’occhio al soft porn e allo slasher, come testimonia la grottesca sequenza iniziale. Questa caratteristica dello stile del regista in Blow Out si declina attraverso l’esasperazione delle note drammatiche fino alla trasfigurazione nel loro opposto; espediente a cui contribuiscono anche le musiche splendide, ma emotivamente molto pesanti e spesso volutamente fuori luogo, di Pino Donaggio.

Il patetico cresce fino ad esplodere nella tragicomica sequenza finale, dove gli effetti invadono definitivamente lo schermo annullando la tensione dell’episodio, con dei toni che sembrano fare eco a quelli della televisione che spesso ha stimolato la fantasia del regista. Si tratta di un’ironia tragica che esprime con successo i goffi tentativi dell’uomo moderno di trovare la propria voce in un mondo che gliel’ha sottratta.

De Palma ci ha abituato a dei protagonisti in balia di una società nella quale si muovono come corpi estranei, condannati in anticipo alla sconfitta, spesso anche a causa delle loro stesse azioni. Oltre a Jack in Blow Out ci troviamo di fronte a personaggi, come Grace in Sorelle o Winslow in Il fantasma del palcoscenico, destinati al fallimento, rispecchiando con il loro agitarsi il senso di impotenza che caratterizza l’individuo contemporaneo. Personaggi, dunque, in cui ci rivediamo, che comprendiamo e per i quali soffriamo, pur biasimandone le scelte e intuendone prima del tempo le sorti.

Così il cinema di De Palma offre un ritratto fedele della nostra epoca facendo provocatoriamente risuonare la verità anche nell’artificiosità posticcia di un b-movie.