Un grande restauro per festeggiare i 50 anni del Grand Prix (così si chiamava allora la Palma d’Oro) vinta da Blow-up al Festival di Cannes nel 1967: la versione restaurata del film di Michelangelo Antonioni sarà presentata al 70° Festival di Cannes il 24 maggio dalla Cineteca di Bologna, Istituto Luce – Cinecittà e Criterion, in collaborazione con Warner Bros. e Park Circus. Il restauro è stato realizzato nei laboratori di Criterion a New York e L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, con la supervisione del direttore della fotografia Luca Bigazzi. Noi proponiamo un viaggio tra i materiali di allora, grazie al Fondo Alessandro Blasetti.

Blow-up approda al Festival più glamour del mondo. Sulle pagine de l’Espresso Mario Soldati si diverte a renderne l’atmosfera: ‘Cannes. Il piroscafo Oriana, bianco, e dall’alta poppa operata e traforata, come una moderna versione di galeone, è al centro della rada e degli azzurri, dei verdi, dei grigi, degli argenti, degli acciai traslucidi e trascorrenti l’uno nell’altro, al continuo va e vieni del vento e del sole… Esplosione di una instabile primavera: era proprio questo che abbiamo sognato tutto l’inverno’.

Ma non è personalità che si fermi ad annotazioni di costume e punta dritto al cuore della competizione, scrivendo che la partita ‘sarà giocata seccamente’, tra Blow-up di Michelangelo Antonioni e Mouchette di Robert Bresson. Pochi giorni prima dell’inizio della kermesse, i giornali danno la notizia che Alessandro Blasetti, già tra i giurati di Cannes è stato nominato presidente della giuria.  A dar retta all’intuito di Soldati, sembra che la XX edizione del festival si prospetti come una serena passeggiata e che i premi saranno assegnati senza colpi di scena e, soprattutto, senza polemiche. Naturalmente, rispettando la tradizione di ogni competizione cinematografica che sia degna di questo nome, non sarà così e Blasetti avrà il suo bel da fare per pacificare gli animi.

Su La Stampa si legge infatti: “L’elenco dei premi è stato reso noto soltanto nel tardo pomeriggio con grande ritardo rispetto alle tradizioni. È evidente che vi sono state lunghe e laboriose trattative, prima che la giuria si decidesse a sfornare il consueto compromesso. Ai lavori hanno preso parte soltanto undici giurati. Il dodicesimo, Claude Lelouch, vincitore del Festival dello scorso anno, aveva chiesto al presidente Blasetti di astenersi dalla decisione finale perché aveva acquistato interessi nella distribuzione del film jugoslavo Ho incontrato anche zingari felici di Petrović.

Quando Robert Favre Le Bret, direttore del Festival, ha reso noto i premiati alle centinaia di giornalisti presenti, si sono levati commenti ironici: “Questa non è una premiazione – ha gridato un critico – è un catalogo!”.  La battuta si riferisce al fatto che la giuria è riuscita a premiare ben dieci film, aggiungendo   un omaggio e dividendo due dei premi ex aequo. L’omaggio è toccato proprio a Bresson. Sulla copertina del Bollettino del Festival di sabato 13 maggio si legge: “Le Jury du XXe Festival de Cannes a voulu à l’unanimité rendre hommage avant toute délibération à l’oeuvre de Robert Bresson”. Jean De Baroncelli, su Le Monde, scrive che nonostante il trionfo di Blow-up sia meritato, questo omaggio, vista la qualità del film Mouchette, appare derisorio.

Non è che Soldati abbia sbagliato nel giudicare Mouchette all’altezza del Grand Prix, ma se ha ben inquadrato i venti che spirano su Cannes, non ha tenuto conto dei venti rivoluzionari che soffiano sulla società e, come scrive Luciano Codignola su La Fiera Letteraria ‘già, perché Bernanos era uno scrittore cattolico, sia pure a modo suo, e Bresson è un regista cattolico: ergo Mouchette ha da essere un film cattolico’. Il film di Bresson paga da un lato lo scotto di essere il prodotto di quella che viene identificata come la cultura predominante e il 1967 è l’annata delle nuove generazioni che Blow-up serve alle platee del mondo su un piatto d’argento. Dall’altro, come scrive Blasetti nella scheda di giudizio al film “Bello ma amareggia, amareggia, amareggia”.

Baroncelli prosegue aggiungendo: “C’ètait dans une large mesure pour éviter le partege du Grand Prix que la direction du Festival avait élevé cette année, le Prix spécial du jury au premier rang”. Il premio speciale infatti è andato ex aequo al film di Losey Accident e a J’ai rencontré des Tziganes heureux di Petrović, proprio quel film a causa del quale Claude Lelouch aveva lasciato la giuria, avendone comprato i diritti per la distribuzione.

È sintomatico che tra le carte conservate da Blasetti della sua esperienza festivaliera, ci sia un foglio manoscritto con l’elenco dei film da premiare, firmato Lelouch. Si può dedurre che nel giudizio finale della giuria, Blasetti abbia in ogni caso tenuto conto del parere del ‘fuoriuscito’ che per togliersi d’impaccio assegna il Prix special a 10.000 Soleils. Anche Lelouch assegna il Grand prix a Blow-up, unico film sul quale tutto il consesso dei giudicanti si trova unanimemente d’accordo.

Non bastasse il colpo di scena di Lelouch, Blasetti, assolutamente favorevole al film di Antonioni come si evince dal giudizio che ne dà sulla scheda conservata nel suo archivio, si trova a dover sedare un’altra scaramuccia interna nata, molto probabilmente, sulla scelta del miglior attore. Sul Gazzettino di Venezia, Luigi Giliberto riporta: “nei giorni scorsi, non dimentichiamo che il comportamento di un altro membro della giuria, Shirley McLaine, nei confronti del giovane protagonista degli Tzigani felici ha dato l’occasione per qualche maliziosa perplessità, non sappiamo quanto giustificata […]. Stamattina l’attrice ha minacciato di dare le dimissioni a sua volta, e, nel dissidio che travagliava la riunione, un secondo giurato, il francese Loureau, era sul punto di andarsene. Anzi, pare che i due abbiano davvero abbandonato la stanza della consultazione […]”.

Alla fine, il presidente Blasetti, rimette sui binari di un giudizio equilibrato, un verdetto che rischiava di deragliare, soggetto come si è potuto intuire dalle notizie riportate dai giornali, a forze centrifughe di interessi molto personali. Non è però servito a placare le proteste. D’altronde, lo stesso Blasetti, all’inizio della kermesse, aveva dichiarato il propro imbarazzo nel trovarsi nella posizione di dover giudicare il lavoro dei colleghi e guidato da questo spirito di consapevolezza, ha spinto i giurati a premiare più opere. E come scrive Mario Soldati “Blow-up sarà campione insuperabile, indipendentemente dal verdetto dei giurati di Cannes. È un’opera personalissima, di un regista unico e profondamente individualista come Antonioni. […] Antonioni non è mai stato, nemmeno agli inizi della sua produzione, un artista provinciale, e nemmeno, se Dio vuole, nazionale, ma, staccandosi dai nostri modi allora trionfanti del neorealismo italiano o romanesco, dimostrò subito l’altezza, la tendenza fortemente lirica ed astrattiva della propria ispirazione, e, insomma, la propria natura modernissima e internazionale. Antonioni era internazionale anche col Deserto rosso, e anche con Il grido. Anche quando girava nei paesi suoi, e anche quando, faccio per dire, parlava in dialetto. Figuriamoci adesso, che dal ferrarese è passato al cockney”.