Brian vive tutto solo in una casa nella sterminata campagna gallese. Dopo il lavoro, null'altro ha da fare se non mettersi a costruire invenzioni tanto immaginifiche quanto fuori dalle logiche del marketing, come l'orologio a cucù volante e la cintura per uova. Dopo aver trovato nella spazzatura la testa di un manichino, gli punge vaghezza di trovarsi un robot per amico. Assemblando la testa con il guscio di una lavatrice e due gambe simil-umane, e coadiuvato da una tempesta con fulmini e saette che mai può mancare in questo tipo di imprese, il tentativo va a buon fine: dà vita a Charles, la cui passione per gli innocui cavoli e la pericolosa vita all'esterno non tarda a manifestarsi.

Per Brian e Charles si riforma il team che aveva ideato il delicato cortometraggio omonimo del 2017: David Earl e Chris Hayward come sceneggiatori e interpreti dei due ruoli principali, l'uno nelle sue sembianze e l'altro opportunamente nascosto, e Jim Archer alla regia. Nel passaggio da un formato all'altro restano pressoché invariati i personaggi, il setting e le atmosfere, nonché l'idea del falso documentario, col protagonista umano che spesso si rivolge alla macchina da presa – anche se, nel corso del lungometraggio, sempre meno, lasciando sospettare l'esistenza di un amico immaginario la cui presenza diventa man mano superflua (le suggestioni di Fleabag sono fra noi per restare).

Se però i 12 minuti originari erano agevolmente riempiti dalla quotidianità consolidata di Brian col suo robot, e dal conflitto fra bisogno di relazione e noie della convivenza, allungare il tutto alla durata di un'ora e mezza non è una banalità. Gli autori anticipano dunque la narrazione alla fase della creazione di Charles, non riuscendo tuttavia a rendere in maniera convincente né il suo subitaneo apprendimento di come funzioni il mondo, grazie a un semplice vocabolario – era molto più convincente la modalità adottata in Splash – Una sirena a Manhattan: dalla tv del pomeriggio – né la sua personalità, pur suggerendo un'evoluzione dallo stadio infantile a quello adolescenziale.

A rimpolpare l'esilità della trama inseriscono poi, oltre a un interesse sentimentale per Brian, un pretestuoso arco narrativo di lotta contro il cattivo del villaggio, fomentato inspiegabilmente da due figlie meno miti delle sorellastre di Cenerentola. Non è tanto l'ovvietà dell'escamotage a lasciare interdetti, quanto piuttosto l'indecisione di fondo sulla morale della favola: tutto il film è incentrato sul conflitto fra il desiderio di libertà di Charles e l'istinto di protezione di Brian, ma resta pedagogicamente incerto sul giudizio relativo al “mondo là fuori”, se al cuore esso sia orrore o meraviglia. Dopo aver argomentato a favore del primo, a logica, nel zuccheroso finale opta ingiustificatamente per la seconda. Anche i più naïf resteranno interdetti.