Il senso di un prodotto come Bros sta tutto nel rapporto con il pubblico. È uno dei principali motori della campagna marketing del film, che la Universal ha sponsorizzato come se fosse a suo modo rivoluzionario: una storia d’amore ambientata nella giungla gay newyorchese, con un cast quasi interamente LGBTQ+, concepita e pubblicizzata come una classicissima rom-com hollywoodiana.

In effetti, vista la specificità dei contenuti con cui Bros si destreggia, il film di Nicholas Stoller rappresenta un esperimento unico e degno di essere studiato. Un progetto commercialmente fallimentare, se si considerano gli scarsi risultati nelle sale statunitensi, che ci informa però sul modo in cui il prodotto “ideologico” viene selezionato, costruito e impacchettato nel contesto delle strette logiche industriali.

Bros è un film che funziona nel concetto, prima ancora che nella costruzione. Lo schema narrativo è assolutamente fra i più semplici, e fila perfettamente proprio perché gli step classici del genere sono ricalcati con maniacale precisione sui modelli precedenti. Un disegno già tracciato che si può colorare a piacimento per adattarlo ai gusti delle nuove platee. A capo del progetto c’è Billy Eichner, un nome piuttosto conosciuto tra gli aficionados della comicità statunitense. Cinico e sardonico, di un isterismo solipsista che rasenta l’irritante, Eichner è l’autore e il protagonista della storia, e il filtro attraverso cui l’universo del film viene trasposto sullo schermo.

Parlare di rom-com gay non dovrebbe risultare in alcun modo offensivo: l’obiettivo di Eichner, omosessuale dichiarato, è quello di trasporre la cornice canonica in un contesto ristretto, orgogliosamente strillato, che contrasta fortemente con la struttura conservatrice giocata sulle situazioni canoniche del genere. Un’operazione intelligente, potenzialmente in grado di accontentare due tipi di spettatori diversi, uno generalista e uno più selettivo.

Resta, però, la questione del rapporto col pubblico. Sta qui il paradosso di Bros, che tenta disperatamente di smarcarsi dalla nicchia da cui proviene per raggiungere l’audience dei multiplex. Ma il mondo che racconta è troppo specifico, troppo complicato per poterlo incasellare in una storia tradizionale. E se l’intenzione è sicuramente positiva, la descrizione ambientale di Bros non dimostra uno sguardo particolarmente acuto sulle questioni di cui il film vorrebbe parlare – promiscuità sessuale in primis – e su cui scherza ripetutamente.

Si tratta di un compromesso necessario: nessuno si aspetterebbe un’analisi accurata delle dinamiche comunitarie LGBTQ+ in quella che è, tutto sommato, una canonica love-story. Concentrandosi sulla dimensione più tipicamente romantica e relegando alle macchiette in background la componente “sociale” della storia, Bros finisce tuttavia per ridurre sostanzialmente la propria verve politica, che sta nell’idea del film più che nell’esecuzione vera e propria.

Tutto il peso narrativo e ideologico cade sulle spalle del protagonista Bobby, costruito dal comico americano in chiave evidentemente auto-riflessiva, sull’onda degli sketch di Billy On The Street. Era una grande scommessa, perché la personalità corrosiva di Eichner, funzionale al formato breve, non può catalizzare le simpatie del grande pubblico come succede spesso con i protagonisti delle rom-com. Il risultato è più circoscritto e limitato di quanto l’attore si aspettasse: Eichner ci scherza su finché può (le battute sul suo essere “l’ennesimo uomo gay bianco cisgender” si sprecano), ma è difficile ignorare la fastidiosa selettività di un film che vorrebbe essere a tutti i costi inclusivo e illuminante, e che invece risulta a tratti piuttosto arrogante e settoriale.

È un’impostazione che non inficia sul funzionamento del racconto in sé, godibilissimo e divertente soprattutto per un pubblico di “addetti al settore”. Non si può, allo stesso tempo, nascondere una certa perplessità nei confronti di un prodotto che infiocchetta le sue semplificazioni sociologiche nell’ottica di un universalismo di facciata, poco concreto, più ego-riferito che aperto al pubblico mainstream – e forse è questo uno dei motivi dell’insuccesso.

C’era la possibilità di trovare un compromesso migliore, con Eichner al timone? Forse no. In fin dei conti è sempre giusto contestualizzare: un film come Bros sarebbe stato impensabile qualche anno fa, e l’operazione del comico americano denota un’apprezzabile fiducia nei confronti del pubblico odierno. Gli è andata male questa volta, ma il suo è un progetto che a Hollywood può fare solo bene, e che ci si augura possa continuare. La prossima volta, magari, con un pizzico di umiltà in più.