“Tovarisch!”, urlano continuamente i personaggi di Cari compagni! l’uno verso l’altro per chiamarsi a vicenda. Disperati o meno che siano (ma il più delle volte si urlano addosso per rimproverarsi), i compagni di Andrej Konchalovsky sono, nella loro osservanza automatica del credo comunista – come automatico è l’appellativo che usano – la rappresentazione particolare di un discorso per Konchalovsky molto più grande. Ovvero l’estremo e drammatico divario tra la teoria, l’ideale, e la realtà dei fatti; e insieme il crollo delle certezze di una specifica generazione di russi, ovvero quella di chi ha combattuto o è sopravvissuto alla seconda guerra mondiale e che si ritrova a non capire più il significato di altre parole: “per la Patria, per Stalin”.

Nella volontà di rappresentare gli eventi accaduti a Novocherkassk nel 1962 (rimasti insabbiati fino agli anni Ottanta) in cui l’esercito sovietico aprì il fuoco su una folla di scioperanti uccidendo 26 persone, Konchalovsky mette in scena quella storia, anzi la Storia, scegliendo di ridurla cinematograficamente alla disperata parabola di un personaggio che vi prende involontariamente parte.

Il personaggio scelto da Konchalovsky è Lyudmila (interpretata da Julia Vysotskaya), membro del partito comunista locale di Novocherkassk e madre della diciottenne Svetka. Lyudmila ha uno sguardo duro ed è mossa dal serio convincimento che ogni forma di dissidenza vada eliminata: anche con la forza. Quando però quella stessa forza che ha sempre invocato si fa estremamente reale ed è sua figlia Svetka a scomparire tra i proiettili dell’esercito e la foga degli scioperanti, Lyudmila intraprende una ricerca privata e disperata, trovando lungo la strada la morte di tutti i suoi ideali. Aiutata da Viktor, un uomo del KGB (che in quel momento stava cominciando ad assumere sempre più potere), Lyudmila non è più la figlia della patria ma una donna che lotta per sé stessa.

Con un bianco e nero brillante restituito nella forma dei quattro terzi, Konchalovsky cerca la Storia anche nella forma, rifacendosi proprio all’aspect ratio e ai contrasti del cinema sovietico degli anni Sessanta – ovvero quello contemporaneo agli eventi narrati (ricordando molto anche l’estetica del recente Cold War di Pawel Pawlikowski).

Konchalovsky riesce qui nel difficile compito della riduzione di ciò che è complesso, riuscendo però nel contempo a restituirne un quadro esaustivo e potente: procedendo ritmato e veloce come un treno, Cari compagni! non lascia un attimo di respiro e come strattonando lo spettatore per un braccio lo trascina con sé nella sua ricerca disperata. E se nella rappresentazione delle masse Konchalovsky decide di rimanere a debita distanza, rinunciando alla forza attrazionale dei volti, anche il ritratto di Lyudmila ha il contorno del campo lungo, ed è sempre al centro ma non è mai davvero vicina: isolata dallo sguardo del regista allo stesso modo in cui è abbandonata dai suoi “tovarisch”.