Esiste una genealogia sulla scena comica italiana, un fil rouge che attraversa la città di Roma e che unisce quartieri, personaggi e attori, una genealogia che trova la sua discendenza nella Trastevere di Alberto Sordi, nel Rione Regola di Ettore Petrolini, nel vicolo delle Grotte di Aldo Fabrizi. Roma ha forgiato una scuola comica che da Fregoli ha plasmato anche la generazione più recente composta e abitata da un regista e attore nato e cresciuto nello stesso rione di Petrolini: Carlo Verdone. Figlio di una Roma curiale, ferina, funambolica tra la mitomania e un ipertrofismo strutturale. Il suo punto di osservazione è il mitologico bar Mariani in Via dei Pettinari - tra Campo de' Fiori e Trastevere - da cui convergevano individui singolarmente ordinari tra cui burini, imbranati, dandy, bulli, che hanno ispirato Verdone nella costruzione del suo dispositivo comico. Attento quasi maniacalmente ai dettagli, ai vezzi, ai codici di comportamento, alle nuove maschere, alla trasformazione dell’italiano medio che attraversava i quadrivi di una società sempre più piccolo borghese.  

La sua comicità deriva da un uso intelligente dei dialoghi, dei tempi, delle pause, con una comunicazione costruita sugli anacoluti, sui neologismi, sulla mimesi, su un uso parossistico della lingua romana, che spesso cerca di italianizzarsi attraverso una disarticolazione del linguaggio; la sua lingua diventa un'ibrido, una deformazione gergale quasi gaddiana, un plurilinguismo narrativo veicolato dal suo viso, veicolo fisiognomico della sua arte. I suoi film, i suoi sketch non sono solo memorabili, ma sono diventati forme di uso comune, battute iconizzate e tormentoni -O famo strano, Magda tu mi adori?, No, non mi disturbi affatto, In che senso?”- come anche i suoi personaggi, caratterizzati e non, che orbitano in una realtà, una società in rapida trasformazione, che è sempre incastrata tra nuove regole, nuovi miti, nuovi comportamenti.

I personaggi verdoniani tentano di riconoscersi in una realtà che non sanno abitare; Verdone in loro si riconosce, spesso si commisera e si auto-assolve. Quel che li accomuna è una fame viscerale, un'ambizione intensa di essere più di quel che sono, come Sergio Benvenuti che in Borotalco si nasconde dietro la mitomania di Manuel Fantoni, incapace di accettarsi nel suo impaccio, come Rolando Ferrazza in Acqua e sapone che indossa l'abito monastico spacciandosi per padre Spinetti, o come Armando Feroci in Gallo Cedrone, mitomane per indole, che addirittura cerca di convincere i membri di un fanclub elvisiano che lui è il figlio segreto di Presley. Ciò che balza all'occhio è lo sforzo moltiplicativo di Verdone di recitazione doppi ruoli, sovrapposti, sovrabbondanti, che hanno fame di vita, fame di identità. Verdone incide nel sociale, racconta la solitudine dell'italiano medio e ne fotografa la sua dimensione miserabile e quanto gli appartenga una certa incompetenza del reale, facendone anche una critica di costume.

Verdone come regista-attore si sottopone a un trattamento grottesco (e malinconico), raccontando qualsiasi disperazione come un rabdomante della commedia, trovando sempre, anche nei territori più oscuri, la presenza di un elemento comico, su cui poter ironizzare e grazie al quale riuscire a divertire il pubblico. L'efficacia delle scene e delle storie sono tali grazie al suo grande talento di improvvisazione, di scrittura e di sintesi: Verdone si spoglia del superfluo quando recita, arrivando all'essenziale e all'anima dei personaggi che scrive. Come asserì Orson Welles, se c'è un arte simile alla recitazione è la scultura, proprio perché scolpire significa togliere, scalpellare il granito e sottrargli quello che non serve. Come per la scultura l'attore deve togliersi tutto ciò che non serve, lasciando l'essenziale. Verdone sa come offrire al pubblico quella parte di sé che corrisponde al personaggio, finanche se ciò significa diventare un burino, un bullo, un dandy poco riuscito, un incompetente del reale. Se esiste una genealogia del cinema comico italiano, che attraversa la città di Roma come una corrente invisibile, è in Carlo Verdone che trova la sua eredità più feconda, detonante, ed è in lui che trova ancora un senso.