Jonas Carpignano, con Mediterranea, segue il fluire degli eventi mondani in maniera sincera e disinibita da qualsiasi condizionamento che non sia proprio del bisogno di porsi nella prospettiva e sguardo altrui, un altrui le cui speranze non annegano tanto nelle profondità abissali quanto negli inospitali anfratti di una terra che dovrebbe sempre ricordare l’esigenza, o meglio, il dovere morale di accogliere chi senz’altro ha nel cuore il paese più straziato.


In un mondo così congestionato e indolenzito da un quietismo inerte, quello di chi accetta passivamente le condizioni del presente senza porvi delle criticità e, quindi, senza il vitalismo di chi invece lotterebbe per la trasformazione, Carpignano fa una sua “piccola” rivoluzione. Mediterranea è il racconto dell’esodo di un gruppo di ragazzi nigeriani, dall’organizzazione del viaggio che li avrebbe poi condotti in un paesino della Calabria, Rosario, a tutte le conseguenze, dagli sviluppi ed esiti per lo più drammatici. 


Nonostante, infatti, la presenza di un gruppo di sostegno e concreto aiuto offerto a questi esuli, a primeggiare è l’inconsapevole rabbia di un umano ancorato a principi aleatori e inconsistenti e un sud chiuso e timoroso nei confronti dell’altro; ciò che si avverte, anche dalla sottigliezza con cui Carpignano insiste sui singoli vissuti dei protagonisti, attraverso uno sguardo che congiunge la meraviglia al disincanto in modo pressoché fulmineo e impercettibile, è la volontà di non dare nulla per scontato e di ingrandire sul reale indistintamente da chi si trova nell’inquadratura.


Costruendo un suo particolare ma effettivo ed efficace neorealismo coevo, il giovane regista italiano, prossimo a rappresentare l’Italia agli Oscar con A Ciambra, fa della macchina da presa lo strumento più adatto per smuovere e spolpare le corde emotive di ciascuno spettatore. Rappresentando e seguendo il moto incessante di quelle piccole realtà bistrattate, le cui vicissitudini vengono spesso e volutamente ignorate, risulta limpido ed evidente che in lui ha agito e continuerà ad agire l’eterna risonanza del Pasolini di Accattone, dello spaccato esistenziale su cui il regista ha voluto soffermarsi per criticare indirettamente il presente e, in generale, tutta la sua riflessione sul rapporto individuo e società. Infondendo al film leggerezza espressiva e lucidità, rischiando, tuttavia, di risultare disturbante e compromettente, Carpignano dà voce a uno dei più grevi e insoluti problemi contemporanei per vederci chiaro nella notte e indicare una strada di verità.