Basato sulla lotta ventennale dell’avvocato Robert Bilott contro il colosso chimico della DuPont, Cattive Acque sovverte la morale di fiducia nella giustizia che trionfa e nel sistema che si riscatta, tipica del dramma processuale e di inchiesta. Il film utilizza diverse convenzioni del genere, come il conflitto tra il dovere pubblico dell’avvocato e gli obblighi famigliari e professionali, tra le sue umili origini di provincia e la promessa di un futuro benestante e cosmopolita. Tuttavia, Todd Haynes mina nel profondo il genere. Il regista contempera, infatti, la giustizia finale per le vittime con la consapevolezza che l’avvelenamento della DuPont va dritto al cuore del Sogno Americano, obliterandone la narrazione di mobilità sociale, di emancipazione e di ricerca della felicità.

Cattive acque non si limita a denunciare un singolo episodio di inquinamento ambientale da parte di una multinazionale. L’avvelenamento dell’acqua della fattoria di Wilbur Tennant a Parkersburg, West Virginia, è solo il punto di partenza per Robert Bilott, originario proprio di Parkersburg ma che, nel 1996 quando riceve la richiesta di aiuto di Tennant, è appena diventato socio di un importante studio di avvocati di Cincinnati specializzato proprio nella difesa delle industrie chimiche. Bilott si è lasciato alle spalle la povertà e la desolazione di Parkersburg per inseguire il suo sogno di mobilità sociale. L’incarico di Tennant, conoscente della nonna di Bilott, riporta l’avvocato alla propria famiglia, comunità e identità di origine piuttosto che a quelle di elezione, come nel classico copione del Sogno Americano. Tra la fedeltà alla sua comunità di nascita e la lealtà a quella professionale, Bilott sceglie la prima anche quando capisce che l’inquinante chimico nelle acque di Parkersburg è alla base del teflon usato per utensili e arredamenti pubblicizzati come la felicità della famiglia media americana. Dal singolo caso, l’inchiesta di Bilott diventa una class action con l’adesione di decine di migliaia di cittadini del West Virginia e analisi del sangue di massa.

Cattive Acque è sostenuto da una sceneggiatura che concede poco al trionfalismo e da un cast corale liberal in cui spicca l’interpretazione di Mark Ruffalo: con i suoi tic, l’andatura incerta e i suoi tentennamenti l’attore evidenzia il malessere interiorizzato di Billot, a cui, come ad altre vittime della DuPont, viene riservato un cameo nel film. Haynes sfrutta la costruzione divistica di Ruffalo come supereroe di inchieste contro il sistema – si pensi al personaggio di Ned Weeks e al suo impegno per la lotta all’AIDS in The Normal Heart, 2014, o quello di Michael Rezendes ne Il caso Spotlight (2015) – e come antagonista della stessa famiglia DuPont in Foxcatcher (2014), nel ruolo del campione olimpionico di lotta Dave Schultz che non vuole cedere il fratello Mark alla ricca famiglia industriale. Tuttavia, nella caratterizzazione di Ruffalo e nelle scelte formali di Haynes, il personaggio di Billot diventa hitchcockiano, nelle sue ossessioni e improvvise insicurezze, anche nei rapporti con le figure femminili.

Il regista coniuga, infatti, un rinnovato interesse per le convenzioni e i riferimenti horror, che costellano tutto il film e che avevano costituito la cifra degli esordi di Poison (1991) e Safe (1995), all’abituale attenzione per la lezione di Douglas Sirk, come nei più recenti Lontano dal Paradiso (2002) e Carol (2015), per la puntigliosa ricostruzione della patina di un periodo storico sotto cui celare la crudeltà sociale e industriale. Dalla prima scena in cui l’assenza del mostro marino che aspettiamo è la metafora dell’inquinamento chimico invisibile alle inquadrature dall’alto che schiacciano i personaggi, dai riferimenti ai fantasmi e Frankenstein nei dialoghi alle inquadrature di dettaglio delle parti dei corpi umani e animali deformati, Haynes disseziona l’orrore e l’avvelenamento trasmessi dai meccanismi sociali e produttivi del capitalismo americano.