“Do you like my natural hair colour?”, esordisce Cher sul palco del Here We Go Again Tour, attualmente arrivato alla sua parte europea, dopo aver cantato “Strong Enough”, la seconda hit in scaletta. Calca in particolare sulla parola “natural” rifiutando di riconoscere l’artificialità della parrucca blu che indossa. Dopo il CD di cover degli Abba e la partecipazione al secondo capitolo di Mamma Mia!, il tour è l’occasione per analizzare l’immagine di Cher come diva cinematografica e del pop. I filmati che scorrono sui maxi-schermi del concerto ripercorrono la carriera di Cher, mettendone in luce le diverse identità e un continuo modificarsi, anche attraverso le ben note alterazioni corporee, che rifiuta il mito dell’autenticità di genere e etnia. Completo della sezione “Cher Movie Montage”, il tour afferma il perdurare dell’iconicità della star, nonostante la costante ostilità di una certa critica che, a lungo e nonostante i riconoscimenti prestigiosi come l’Oscar per Stregata dalla luna (1987) e i ruoli con Altman in Jimmy Dean, Jimmy Dean (1982), Bogdanovich in Dietro la maschera (1985) e Nichols in Silkwood (1983), non l’ha considerata seriamente né come cantante né come attrice.

Celebrare Cher, perfetta interprete del ruolo di icona pop per ogni generazione non solo LGBT dagli anni 60 ai giorni nostri, significa riconoscerle il merito di aver saputo utilizzare la sua immagine camp per destabilizzare confini e opposizioni binarie (maschile-femminile, naturale-bizzarro, giovane-anziano, rock-pop) mostrando l’artificialità di norme e standard sociali e artistici. Dalla proletaria lesbica di Silkwood (1983) alla nonna glam in Mamma Mia! Ci Risiamo (2018), per citare gli estremi di un arco di celluloide matrilineare che la ricongiunge idealmente a Meryl Streep, le donne interpretate sul grande schermo da Cher non solo si rifiutano di accettare convenzioni sociali che confinano i ruoli femminili in sfere ben precise all’interno della famiglia, della società e a seconda dell’età, ma mettono in discussione le stesse categorie di genere e etnia sottolineandone l’artificialità e la costruzione socio-culturale attraverso il potere della performance. Sono donne appartenenti a etnie e classi sociali diverse e con diversi orientamenti sessuali, ma tutte unite dal loro stato di “alterità” rispetto alla società in cui vivono. Le vedove Loretta Castorini in Stregata dalla luna (1987) e Elsa Morganthal in Un tè con Mussolini (1999), le eccentriche madri single Alex in Le streghe di Eastwick (1987) e Rachel in Sirene (1990), Tess, l’imprenditrice solitaria di Burlesque (2010) sono caratterizzate dal loro non conformarsi alle aspettative sociali rispetto a donne nella loro condizione e della loro età, rivendicando un’indipendenza economica, sentimentale e sessuale. 

Questa sfida a standard e convenzioni che prendiamo per naturali viene sottolineata anche dalla carriera di cantante di Cher. L’interpretazione di Cher in canzoni come “Gypsies, Tramps, and Thieves” (1971) e “Half-Breed” (1973) nel Sonny & Cher Comedy Hour è talmente eccessiva da sfociare in un carnevalesco che sovverte l’idea di autenticità etnica, con la cantante che gioca con il suo “sangue misto”. Nella signature song “Believe” (1998) persino la voce, elemento cardine per giudicare l’autenticità del valore di una cantante, viene resa artificiale dal ridondante uso dell’autotune.

Il constante re-inventarsi e alterarsi di Cher come diva mette in discussione il mito dell’autenticità di categorie di genere e etnia, rendendo l’artista un soggetto perfetto per drag queen come testimonia la sua costante popolarità nelle diverse stagioni del RuPaul’s Drag Race. Il suo stesso status di star viene ironicamente interpretato, in modo meta-filmico, come una finzione, tanto da essere scambiata, in un episodio di Will&Grace, per una drag queen che interpreta Cher.