I fatti di cronaca ci attirano da sempre. Il crimine esercita un’attrazione fatale su di noi, che da una parte spiega lo storico successo di generi come il giallo o il noir, e dall’altra motiva la grande diffusione negli ultimi anni del true crime in svariate forme mediali. Tuttavia, l’interesse dei pubblici per il crime si ferma al fatto di sangue, all’indagine, raramente si interroga su quello che accade dopo, sui vissuti di chi rimane. Cerchi di Margherita Ferri, invece, si pone come obbiettivo esplicito proprio quello di raccontare le storie di chi, in maniera diversa, è sopravvissuto a un crimine violento.
Il documentario di Ferri racconta nello specifico la Fondazione emiliano romagnola per le vittime di reato, una realtà che da diversi anni si occupa di fornire sostegno in varie forme ai parenti di vittime di omicidio o a sopravvissuti di reati gravi. Quello che si presenta quindi come un evidente documento di promozione di questa attività riesce comunque a trovare uno spazio per raccontare le soggettività dei suoi personaggi.
Seguiamo nello specifico tre storie, quella di Gabriele, quella di Lola e quella dei coniugi Bravi. Il primo è rimasto orfano di un padre vittima di omicidio; la seconda è sopravvissuta al tentativo del suo ex marito di ucciderla; infine, i coniugi Bravi hanno perso la propria figlia, uccisa dal marito di lei, e ora devono occuparsi di crescere le due nipotine.
Sono storie che indubbiamente toccano corde profonde, che vengono costruite solo attraverso la voce dei protagonisti. Non c’è alcun tipo di ricostruzione drammatica, tutto ciò che sappiamo viene veicolato dalle testimonianze dei personaggi; ed è proprio la dimensione reale che emerge dalle loro parole a permettere che si vada oltre al semplice ripercorrere i fatti e di conseguenza a fare di questo film qualcosa di più di un semplice resoconto delle attività della fondazione.
Anche il lavoro di regia di Ferri sembra muoversi a cavallo tra queste due direzioni, una più oggettiva e distaccata e l’altra più estetica. In diversi momenti Ferri utilizza ciò che il profilmico le offre per comporre inquadrature che giocano con le forme, i movimenti e i contrasti. Il punto di incontro principale tra queste due anime si ha nel finale, quando le testimonianze dei personaggi vengono accompagnate da un gioco di colori e di immagini proiettate alle loro spalle. In quel momento il realismo e l’estetizzazione si fondono ed è impossibile distinguere l’uno dall’altra.
Tuttavia, rimane la sensazione che queste due anime si sarebbero potute coniugare meglio, con maggiore consapevolezza e gusto cinematografico; in tal modo i racconti di questi personaggi sarebbero diventati realmente racconti universali, capaci di parlare del nostro presente drammatico. Cerchi è un film che mette in scena una realtà che comunica qualcosa agli spettatori, ma le cui potenzialità sono frenate da una forma che spesso e volentieri non riesce a conciliare l’aderenza al reale con le maggiori ambizioni artistiche.