Paura (1940, in originale Native Son) di Richard Wright fu il primo romanzo di un autore afro-americano ad essere selezionato, seppur dopo pesanti tagli, dal prestigioso Book-of-the-Month Club, diventando l’archetipo per il genere del romanzo di protesta sociale che tanti autori afro-americani seguiranno e da cui altrettanti prenderanno le distanze. In meno di un secolo di vita, il romanzo di Wright ha interessato registi come Welles, Rossellini e Carné e ispirato ben tre riduzioni filmiche, prova dello sguardo particolarmente cinematografico del suo autore e dell’attrazione, mista a repulsione, che il romanzo esercita sulla cultura afro-americana e americana.

L’uccisione del cittadino afro-americano George Floyd da parte della polizia e la conseguente eruzione di disordini razziali ci dimostra quanto l’indagine di Richard Wright della società americana sia ancora rilevante. Influenzato dalle correnti letterarie del naturalismo e del modernismo, dal pensiero marxista e dalla riflessione sociologica, Wright riprende il suo protagonista, Bigger Thomas, mentre si muove per le strade del deprivato South Side di Chicago. Una discesa agli inferi che lo porterà a commettere prima l’omicidio involontario della figlia della famiglia Dalton, bianchi liberal per i quali lavora come autista, e, in seguito, braccato dalla polizia, ad uccidere con ferocia la sua ragazza Bessie. Sarà giustiziato dallo Stato dopo un processo sommario per un omicidio che non ha commesso volontariamente.

La prima versione è stata adattata e interpretata dallo stesso Wright nel 1951 per la regia di Pierre Chenal, un film che risulta danneggiato dalle precarie condizioni in cui fu girato, con una critica mancanza di fondi. Cedendo alle pressioni di Chenal, Wright si ritrovò ad interpretare il protagonista di cui, tuttavia, era molto più vecchio, mettendo in discussione la credibilità della recitazione. Jerrold Freeman ha diretto una seconda riduzione nel 1986 utilizzando un cast importante, ma prestando più attenzione alla patina della ricostruzione d’epoca che al radicalismo di Wright. L’ultima versione in ordine di tempo, una produzione HBO diretta dall’artista Rashid Johnson nel 2019, è indubbiamente la più interessante per il dialogo culturale di approvazione e revisione politica che instaura con il romanzo originario, contemporaneamente fonte di ispirazione e bersaglio critico da cui differenziarsi.

A differenza di Chenal e Freeman, Johnson non ha paura di essere infedele a Wright per mostrarne l’attualità: traspone Paura ai giorni nostri e taglia tutta la lunga parte del processo finale, una farsa non necessaria al tempo degli abusi di potere della polizia. In questo modo, il regista e la sua sceneggiatrice Suzan-Lori Parks ci mostrano quanto l’assunto di Wright sia fondamentalmente ancora accurato dopo quasi ottant’anni. La povertà e la discriminazione in cui Bigger si muove non possono che farne un assassino contro la sua stessa volontà. Contemporaneamente, Johnson e Parks fanno proprie le critiche degli stessi intellettuali afro-americani come Baldwin e Ellison al romanzo di Wright per il pericolo di ridurre Bigger allo stereotipo bianco dell’afro-americano violento e rozzo.

Mentre il romanzo di Wright mostra l’alienazione di Bigger dalla cultura nera, Johnson celebra l’arte, la letteratura e il cinema afro-americano. Inquadra lo stesso romanzo di Wright in mano al protagonista, cita Ellison e DuBois, la sua macchina da presa ci mostra il ritratto di Malcolm X di Glenn Ligon del 2001 e il manifesto della blaxploitation Sweet Sweetback’s Badassssss Song di Melvin Van Peebles (1971). Lo stesso attore che interpreta Bigger, Ashton Sanders, protagonista di Moonlight (2016), incarna l’affermazione del cinema afro-americano contemporaneo.

Se Richard Wright riesce ancora ad ispirare narrazioni cinematografiche credibili per il razzismo del nostro tempo e per la depressione economica che viviamo, chi ha ragione ad averne Paura?