Dall'orfico Terence Stamp per Pasolini e dal minuto, ma sensualissimo Nicholas Hoult di A Single Man, il personaggio di Armie Hammer in Chiamami col tuo nome trae una piena armonia di energie e pulsioni contrastanti, tra il contegno indifferente nei confronti dell'altro e l'umano bisogno di conoscenza, a tratti così dirompente e connaturato. Luca Guadagnino racconta l'idillio estivo consumatosi "da qualche parte del nord Italia", a metà degli anni Ottanta tra il giovane Elio\Timothée Chalamet e lo studente americano Oliver\Hammer, l'ospite: displuvio nell'educazione sentimentale di Elio, velato abbandono della sua età dell'innocenza.
E infatti la storia d'amore di André Aciman vede il suo fluire nel breve giro di un mese e mezzo, attraversandone ogni singola fase, intrinseca e fisica, interiore e percettiva, anche merito del finissimo lavoro di sceneggiatura di James Ivory. La macchina da presa di Guadagnino si muove con discrezione tra l'intimismo di Eric Rohmer, pensando agli affreschi d'incondizionato realismo e verità di La collezionista e l'inconfondibile voyeurismo di Bertolucci: la figura di Elio, alle prese con la lettura e la scrittura, immerso nell'atmosfera panica dei contesti naturali e negli anfratti domestici, non può non ricordare la tenera ingenuità di Liv Tyler in Io ballo da sola. Nonostante lei sia l'ospite, c'è la stessa modulata introspezione nei due personaggi, gli stessi momenti spartiacque.
Il padre di Elio è probabilmente uno studioso dell'antichità classica e come background assistiamo a disamine filologiche su scoperte archeologiche sulle più disparate etimologie, mentre si indugia su diapositive di colossi e statue che tanto ricordano la conformazione fisica di Oliver ed Elio: apollineo e dionisiaco si congiungono arrivando a una mitologica eufonia, in cui fusione carnale e spirituale decretano il più assoluto non ritorno.
Chiamami col tuo nome si regge su un contrappunto di forze, dall'ironico al dramma passando dalla dolcezza di certi iniziali accostamenti al furore e all'esplosione dell'eros. In ciò, l'apparato formale e l'impronta di Guadagnino sono impeccabili, con la tenuità di una fotografia che ricalca ancora Rohmer e una puntualissima attenzione al dettaglio; come se sentissimo l'odore dell'uovo alla coque o avvertissimo la sensazione tra il fastidio e l'eccitazione di Elio, durante quel primo contatto con Oliver. E con questa rara apologia dell'esattezza, Guadagnino ci rende partecipi dell'attesa che prelude al piacere e di quei sospiri così a lungo reiterati. C'è un momento memorabile in cui ci è data la quiete e la stasi prima della partenza, e poi il commiato: sospendendo per un attimo la realtà anche fittizia, dallo "scabroso" scambio di sguardi tra Gustav e Tadzio sarebbe nata, cresciuta e consumatasi la veemenza del desiderio di Oliver ed Elio.