Christian Wahnschaffe (1920-21) è un film monumentale diviso in due parti che sviscera senza pietà i lati peggiori dell’animo umano. Christian è un uomo ricco, estremamente sensibile e attento ai bisogni dei più poveri: ma sarà sempre un ricco! Crede di poter risolvere i problemi dei più deboli attraverso il denaro, ma questo non servirà realmente ad aiutare. Realizzato questo deciderà di privarsi di tutti i suoi averi per vivere da povero, ma scoprirà a proprie spese che i beni che ha distribuito hanno corrotto gli animi anche dei più puri. Se la prima parte del film è dedicata alla perdizione portata dal successo, ne subirà le conseguenze una giovane ballerina e un gruppo di rivoluzionari, noti come nichilisti, che avevano nascosto da lei documenti preziosi, è nel secondo episodio che si raggiunge l’apice del decadimento morale.

Christian brucia tutto il suo denaro e si trasferisce in una baraccopoli per aiutare la giovane Ruth, che ha dedicato la sua vita all’aiuto dei bisognosi. Ma anche senza volerlo il protagonista semina tempesta: per esaudire l’ultimo desiderio di una ragazza morente le porta le preziose perle di casa Wahnschaffe. Le donerà poi a Ruth che pagherà il possesso di questa ricchezza venendo stuprata a morte dal malvagio Niels. Christian, che ha ormai perso ogni speranza, verrà additato come causa dei mali della comunità e spogliato letteralmente di ogni avere e presumibilmente della vita.

Nella scena finale Conrad Veidt, che interpreta il protagonista, aspetta addossato alla parete che la folla lo linci, lui che da ricco aveva sognato la povertà viene finalmente privato di tutto. La sua è una magra consolazione: tutto il bene che ha pensato di fare ha invece distrutto la vita di tutte le persone a lui care, ha corrotto gli animi dei più poveri che, una volta inebriate dal denaro, hanno solo desiderato averne di più.

La sensazione che si ha terminato il film è di sostanziale sfiducia nell’essere umano, essere corruttibile e insalvabile; si raggiunge la consapevolezza di quanto il bene possa essere sopraffatto dal male, di come le azioni fatte anche con l’intento più puro possano portare ad esiti nefasti. Lontano dagli happy ending americani, Christian Wahnschaffe fa riflettere col suo pessimismo cosmico e non lascia di certo indifferenti.

Da sottolineare l’ottima prova recitativa di Veidt, forse inizialmente troppo espressiva per i canoni moderni, ma che raggiunge l’apice nel finale quando il protagonista, sconvolto dalla morte della sua amata Ruth, perseguita l’omicida ricordandogli che pagherà quanto fatto. Meno nota ai più ma non certo meno brava è Rose Müller, capace di interpretare meravigliosamente due personaggi dai caratteri opposti: la vanesia ballerina e la umile Ruth.

Il restauro, in 2k, curato splendidamente dal Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung presso l’Immagine Ritrovata, unisce una copia colorata con didascalie tedesche estremamente degradata con una copia bianco e nero duplicata da una copia esportata. Il primo atto della prima parte è purtroppo andata perduta. Christian Wahnschaffe è film difficile, duro ed emotivamente provante, che ci lascia con l’amara constatazione che spesso la vita non è bella come ci raccontano i film.