Tra gli innumerevoli meriti del Cinema Ritrovato spicca l’attenzione dedicata alle pellicole scomparse che, attraverso il restauro, possono tornare a respirare l’aria delle sale a cui erano state sottratte. Vittoria di questa amorevole archeologia è il recupero di A Mosca Cieca di Romano Scavolini, film del 1966 che innumerevoli problemi con la censura italiana avevano condannato all’oblio

L’opera, cut di “soli” ’79 minuti contro le sei ore che il regista avrebbe voluto realizzare, riversa su schermo un mosaico sconnesso di immagini, formule matematiche e stralci di fumetti, cuciti insieme dalla colonna sonora di Vittorio Gelmetti, già compositore della score di Deserto Rosso. La storia di Carlo Cecchi, alla ricerca di un omicidio in grado di riempire la propria vuota esistenza, viene spezzata in una successione di atti giustapposti, mentre il montaggio stordisce lo spettatore insistendo morbosamente sui medesimi segmenti di girato. Il soggetto della narrazione scompare così in un tunnel di gesti atomizzati, in fondo al quale brilla, indecifrabile, un filmino del matrimonio tra Pippo Franco e Laura Troschel.

Nonostante la sua fama di film maledetto per eccellenza, rifiutato dalla Commissione di censura per tre volte consecutive, l’opera prima di Scavolini appare oggi decisamente invecchiata: l’occhio dello spettatore è ormai stato messo a dura prova da decenni di sperimentazione audiovisiva, e la morale pubblica non trema più davanti ad un omicidio impunito o un capezzolo femminile. A partire dal vezzo esistenzialista del soggetto, che vantava già negli anni Sessanta un nutrito numero di epigoni, la carica eversiva che (forse) aveva spaventato così tanto i censori è ormai rarefatta, difficile da cogliere nei gesti inutili di Carlo e la naivetè dei suoi monologhi impegnati. Si fa strada, durante la lunghissima esperienza di visione, il dubbio che, sotto le accuse di pornografia, si nascondesse il rifiuto per un’opera pretenziosa e amatoriale, che fa del presunto avanguardismo una scusa per riproporre la moda culturale del momento in chiave gratuitamente ostica.

Relitto di un’epoca in cui era sufficiente mischiare suggestioni sartriane e montaggi percussivi per venire etichettati come iconoclasti, A Mosca Cieca torna in sala curvo sotto il peso dei suoi anni.