Alcuni giovani rampolli, di famiglie benestanti, spensierati e belli (non proprio tutti) lasciano le loro famiglie per andare all’Università. Sono le nuove matricole. È questo l’incipit di Addio Giovinezza!
Tra camere in affitto, qualche lezione, ore di studio e soprattutto amori: anche nel 1927 era questa la vita degli universitari che, in quegli anni si stava già fascistizzando. Un film intriso di tristezza dove è ben evidente la gerarchizzazione sociale che fa da sfondo alla storia d’amore tra l’aitante Mario e l’ingenua Dorina: convinta di poterlo tenere vicino a sé per tutta la vita perché l’ama e gli rattoppa il guardaroba.
Mario però, non appena può, guarda e desidera Elena, la donna aristocratica che, stretta nella sua pelliccia, lo corteggia come vezzo. Un nome che ricorda, nell’immaginario europeo, la figura dell’eterna bellezza: iconograficamente portatrice di danni senza che sia lei a causarli. Infatti, dall’arrivo della libera e annoiata Elena tutto cambia nella vita dei giovani.
Genina, per rendere sintetici ma permanenti nella memoria certi episodi, fa uso del “montaggio parallelo tra la desolazione di Dorina, nel suo letto, e il primo incontro clandestino tra Elena e lo studente; il trasalimento di lei al chiudersi della porta di Mario, quando lui esce per un appuntamento con la rivale, bell’esempio di come il suono possa diventare funzione narrativa del cinema muto” (Paola Cristalli).
Dalla pièce crepuscolare di Sandro Camasio e Nino Oxilia sono state ispirate diverse versioni cinematografiche. Augusto Genina è stato il regista di questa commedia ben due volte: la prima nel 1918.
Genina in questo film ha aggiunto molti riferimenti agli anni venti e appunto all’ascesa del fascismo in Italia; basti pensare a come una donna altolocata impazzisca per Mario, un sempliciotto, ma grande sportivo. Oppure all’episodio del treno dove il povero Leone, per colpa della sua tremenda miopia, non riesce a sistemarsi; quando finalmente trova posto, guardando meglio, sobbalza schifato alla vista della donna africana che ha seduta accanto. Un piccolo episodio che doveva far ridere, ma che è solo frutto di un razzismo che a quei tempi era “sempre più istituzionale”.
Genina sfrutta una serie di gag per illustrare quella che fu la vita studentesca degli uomini e rimarca anche la mancanza dei soldi: in un immaginario dove il consumismo non esisteva ancora in tutti i paesi e ceti sociali. Gli unici punti di vista femminili sono quelli delle padrone di casa o delle sarte: tutte comunque adatte solamente alla vita domestica. Donne senza alcuna prospettiva se non quella di trovare un uomo da accudire e a cui sottostare.
Stephen Horne ha eseguito un meraviglioso accompagnamento al pianoforte a cui, di tanto in tanto, soprattutto nei momenti di tristezza, ha incorporato simultaneamente il flauto.