In un kinetoscopio ha visto nascere il cinema muto, e così le sue parole definiscono la sorpresa “dell’immagine minuscola di una ballerina che riceveva il dono della vita e danzava”. Le sue recensioni – che rivelano una spiccata sensibilità registica – hanno fatto scuola; nonostante lei non abbia mai diretto un film. Il suo contributo però non si esaurisce nel campo letterario, ma si estende in maniera pervasiva al cinema. Il suo ingresso nel mondo dello spettacolo avvenne come mima e attrice teatrale, nel 1951 apparve in un film-documentario di Yannick Bellon, Colette.
L’interesse per Sidonie-Gabrielle Colette non si limita alla sua eclettica carriera nel campo delle arti, ma abbraccia la sua figura mitica, irriverente e ambigua. Nel 1893 è una semplice ragazza della campagna del Puisaye, che porta le sue lunghissime trecce nella Ville Lumiere, e sposa Henri Gauthier-Villars, detto Willy. Editore, giornalista satirico e feroce critico musicale, personaggio pubblico della Belle-Epoque parigina, in pratica il suo omologo maschile, che la introduce nell’ambiente artistico e mondano. La relazione fra i due terminerà nel 1906, anche a causa dell’appropriazione da parte di Willy dei primi capitoli della saga di Claudine, nonché trasposizione romanzata della stessa Colette bambina e poi adolescente.
Lascia quindi la vita coniugale per intraprendere una relazione con la marchesa Mathilde de Morny della Missy, sua protettrice e nota nel demi monde parigino per la sua tendenza a vestirsi da uomo. La Prima Guerra mondiale non interferisce sulla sua carriera, sarà anzi l’occasione di uscire dai confini francesi e visitare alcune città italiane: a Roma, ad esempio, conoscerà D’Annunzio.
Tra i suoi amici si annoverano Proust, Ravel e Cocteau. Nel documentario di Bellon vi è uno scambio di battute in cui Cocteau preoccupato per lei, la invita per una volta a non fare nulla e a prendersi una pausa. Al che, lei risponde che “fare nulla equivale a disperdersi in tante cose differenti”, (si potrebbe paradossalmente dire che Colette nella sua vita non abbia fatto nulla!). Non sorprende quindi che Colette all’inizio degli anni 30, abbia aperto un istituto di bellezza e make up, riscontrando un incredibile successo fra le dame di Parigi, che venivano truccate personalmente da lei.
Affaticata da una grave artrosi alla gamba, gli ultimi anni di vita li passa semi paralizzata su un divano-letto in una lussuosa stanza del Palais Royal, ultimo approdo dopo aver cambiato più di una decina di case dal suo lontano arrivo a Parigi. E lì si spegnerà nel 1954. La sua morte, come la sua vita, sarà avvolta dal brusio e dalla gloria. Nonostante, tra le polemiche, la Chiesa le rifiuterà i funerali religiosi, riceverà dallo Stato Francese – prima donna in assoluto – i Funerali di Stato, ultima fra le tante onorificenze che le erano state riconosciute, tra cui il grado di Grand’Ufficiale della Legione d’Onore.
E così, quella che poteva apparire come la scalata sociale di una attricetta qualunque dispersa nell’ampio panorama del nascente Cinema francese, si è evoluta in un percorso affascinante e poliedrico, che incarna un alto livello di emancipazione femminile (anche se prese le distanze dalle Suffragette) e trasgressione, integrando mente e corpo nella sua prolifica produzione.
(co-autrice, Beatrice Caruso)