“Mi piacerebbe che Parigi avesse un centro culturale (...) che sia museo e centro di creazione, dove le arti visive si accompagnino alla musica, al cinema, ai libri, alla ricerca audio-visiva. La biblioteca attirerà migliaia di lettori che a loro volta saranno messi in contatto con le arti” con queste parole Georges Pompidou, nel 1972, apriva nuove visioni sul mondo dell'arte. La celebrazione della libera creatività apre la XXXI edizione del Festival Il Cinema Ritrovato a Bologna, nell'Auditorium dei Laboratori delle Arti dell'Università di Bologna con la proiezione de Le centre Georges Pompidou, ultima opera del grande neorealista italiano Roberto Rossellini.
Il 31 gennaio 1977, con l'inaugurazione del Centro Georges Pompidou, viene sancita una nuova idea di esperienza museale: con un agglomerato di tubi colorati, scale mobili e tentacolari, vetrate infinite, "l'astronave" – così definita da Renzo Piano – atterrava a Parigi, liberando l'esperienza museale verso l'esplorazione di un linguaggio artistico nuovo, che, finalmente, diventa pluridisciplinare.
Fortemente voluto dall'ex Presidente della Repubblica francese Georges Pompidou il centro - e non museo - era stato concepito come il fulcro eccentrico della creazione culturale, in tutte le sue forme: dall'esposizione classica museale, alla creazione di opere d'arte contemporanea, dalla collezione e catalogazione di prodotti audiovisivi, alla fruizione libera di una gigantesca biblioteca a disposizione di un pubblico, non specializzato, da mettere finalmente in contatto con ogni forma d'arte allora disponibile.
Tra gli obiettivi principali di Georges Pompidou, nell'ottica della destrutturazione del classico concetto di museo, vi era la convinzione che l'arte, soprattutto nelle sue forme più contemporanee, avrebbe potuto instaurare un dialogo sinergico con un nuovo pubblico: insolito, passante, non formato, attingendo alla sua curiosità e al suo spirito di esplorazione. In questo modo veniva strutturato per la prima volta il ruolo fondamentale della mediazione culturale nell'educazione artistica museale.
"Fantastico! Qui puoi prendere liberamente i libri! Ma posso portarli a casa?!", "Potrei girare qui dentro all'infinito!", "Oddio! Questi uomini per terra, mi sembravano davvero veri! Mi sono spaventata!": solo alcune delle timide battute, dal suono spesso naïf, riprese, di nascosto, da Roberto Rossellini, durante la realizzazione del documentario che doveva restituire un'immagine positiva dell'operazione avanguardistica di Pompidou.
Il pregio di questo piccolo gioiello di 93 minuti, risiede proprio nella discrezione dell'osservazione curiosa e silente dell'esperienza spontanea e delle reazioni fortemente emotive dei visitatori. Uno sguardo dietro l'angolo, un'orecchio-camera attento, di fianco ai visitatori, la regia di Rossellini si è limitata a catturare l'incontro tra nuovi linguaggi d'arte e il pubblico visitatore. Nessun giudizio, nessuno snobismo, nessun pregiudizio tra chi detiene il sapere e chi no. Un documentario che lascia da parte la più tradizionale visione distaccata e specialistica dell'arte, e fa spazio all'osservazione emotiva, vicina, mediata dal pubblico.
La sensazione che resta, a pelle, dopo la visione del documentario, è del tutto elettrica: la curiosità del nuovo, l'aria divertita del primo sguardo, e l'idea del possibile. Ognuno di noi resta sempre un libero fruitore anche delle forme più alte e complesse della cultura; superato il giudizio, l'obiettivo rimane l'esplorazione e l'evoluzione intellettuale, un'idea che 40 anni dopo avrebbe fondato l'era dell'industria creativa. Bravò cher Robert, uno splendido, ultimo ricordo visionario.