Uno sparo, un uomo che cade a terra e una macchina che fugge nella notte. E poi il molo dove entra in scena lei, la diva: Joan Crawford. Nel suo primo piano in Il romanzo di Mildred Pierce (1945) di Michael Curtiz, uno dei tanti, traspare tutto il peso del film, il dolore e la colpa di un amore impossibile: quello di Mildred per sua figlia Veda. Tratto dal romanzo di James M. Cain, Mildred Pierce (1941), il film segnò la carriera della Crawford a cui valse il suo primo, e unico, premio Oscar come Miglior Attrice Protagonista.

“Da questo momento in poi Joan Crawford reciterà solo ruoli di donne molto forti, di grande successo, ma con una debolezza nel cuore. E’ la prova di quanto fosse talentuosa questa attrice: lei di debolezze non ne aveva. Non era assolutamente vulnerabile.” Parole di Eddie Muller (fondatore e presidente della Film Noir Foundation) che ha presentato la versione restaurata del film al Cinema Ritrovato, resa possibile grazie alla collaborazione della Criterion Collection con Warner Bros. e Park Circus. Un ruolo sicuramente molto fortunato: Kate Winslet ha vinto il Golden Globe grazie alla sua interpretazione nell’adattamento moderno Mildred Pierce (2011), la miniserie prodotta da HBO e diretta da Todd Haynes.

Nel libro, il personaggio di Mildred rappresentava un’atipicità per la sua epoca: una casalinga divorziata con due figlie che lotta per affermarsi nel pieno della Grande Depressione. Una donna forte e consapevole capace di costruire un impero dal nulla, passando da cameriera in una tavola calda, a imprenditrice di una catena di ristoranti. Accanto al suo successo lavorativo, si intrecciano i suoi rapporti personali: primo fra tutti quello complicato con Veda, la figlia prediletta.

Questi due filoni, la scalata sociale di Mildred e la relazione drammatica tra madre e figlia, sono stati affrontati in maniera differente tra pellicola e serie televisiva. Se al primo venne aggiunta una cornice noir (ecco la scena iniziale del delitto), per soffocare la scabrosità del libro che non mancò di censura, la trasposizione di HBO è totalmente fedele alla controparte cartacea. Nel romanzo, come nella serie, Mildred è ossessionata dalla sfera sociale: rifiuta i primi lavori umili che le vengono offerti e persino quando ottiene il lavoro da cameriera vive un profondo conflitto interiore, che culmina nel mantenerlo nascosto alla figlia.

Contrariamente, il film di Curtiz, non si sofferma molto su Mildred come self made woman: le sequenze che raccontano la sua scalata sociale si susseguono con un montaggio veloce (il susseguirsi delle insegne dei suoi ristoranti), tutto raccontato con un flashback dalla voce fuori campo della Crawford. La diva hollywoodiana non ha mai un capello fuori posto, i suoi abiti sono sempre puliti, anche dopo aver cucinato, e quando la vediamo vestita con l’uniforme da cameriera è solo per pochi minuti. Diversamente la Mildred della Winslet si sporca, è struccata e sofferente e compie un radicale cambiamento di look mano a mano che la sua attività cresce.

I movimenti fluidi della macchina da presa di Curtiz, tuttavia, riprendono lo stile di scrittura di Cain, lineare ed essenziale. Così come la piena e consapevole sensualità della protagonista nel romanzo riecheggia furtiva su grande schermo: i dettagli delle gambe magre e sinuose (di cui più volte la Mildred letteraria si compiace con orgoglio) che spuntano dietro una scala o da un costume da bagno. Joan Crawford riempie di carica erotica il personaggio, dosandola con equilibrio tra i numerosi primi piani che abbagliano letteralmente lo schermo. Curtiz insinua, ma non dice nulla apertamente come faceva Cain nel libro: durante la prima notte d’amore tra Mildred e Monty, viziato ereditiere e amante spregiudicato, la telecamera si allontana, ma non completamente, si sofferma per qualche secondo sul riflesso degli amanti nello specchio, insinuando nelle mente degli spettatori l’atto carnale che si consumerà di lì a poco.

La chiave del libro, ripresa sia nel film che nella serie, non era tanto la storia di classe, quanto il rapporto morboso e distruttivo tra Mildred e Veda. La donna vive in funzione della figlia: la sua decisione di trovare un impiego, anche di livello medio basso non è dettata solo dalla necessità di sostentare la famiglia, ma soprattutto dal desiderio incontrollabile di concedere alla figlia, capricciosa e incontentabile, di avere tutto ciò che desidera. Per quanto Mildred si sforzi a compiacere la figlia (che sia regalandole vestiti eleganti, lezioni di piano, serate in locali d’alta classe), Veda rimane chiusa nel suo mondo di inganni e perfidia. È una donna bambina incapace di vedere al di là di se stessa che, diversamente dalla madre, aspira a un livello sociale più elevato senza doversi sporcare le mani.

Nel turpe finale, il carico emotivo dell’azione è ancora affidato tutto alla diva: nel primo piano più famoso della pellicola, il volto della Crawford viene inondato dalla luce, così come la terribile natura della figlia, vera femme fatale, esce allo scoperto. Un gioco di luci e ombre che ricorda la scalata sociale di Mildred, un sogno americano che si è spezzato e non per colpa del denaro, ma per un amore, seppure viscerale, inottenibile.