Sono molti i film e le serie televisive concentrate sul crimine organizzato e sulle sue dinamiche interne ed esterne che, soprattutto in questi ultimi anni, sempre di più catturano l’attenzione ed i cuori del pubblico, opere, per fare degli esempi, come Narcos e Gomorra. Ma certo questo genere di pellicole è da sempre apprezzato e popolare e per capire ciò basta visionare ed analizzare forse il film più paradigmatico ma, allo stesso tempo, più auto-critico dell’intera storia dei gangster movie: Scarface.
Diretto da Howard Hawks nel 1932, la pellicola si propone di raccontare una versione romanzata dell’ascesa e della caduta del leggendario capo della mala newyorkese Al Capone, qui rappresentato nella figura di Tony Camonte, dapprima non più di uno sgherro ai comandi del boss della mafia Johnny Lovo ma che, spronato e guidato dalla sua insaziabile sete di potere, più volte rimarcata da un cartello pubblicitario che gli annuncia che “il mondo è suo”, riuscirà in pochissimo tempo ad avvinghiare con quanta più forza possibile le redini della malavita della Grande Mela, per poi perderle con altrettanta velocità e facilità accecato dalla sua stessa superbia e dalla gelosia scaturita dall’amore proibito per la sorella Cesca.
Film più che altro sconosciuto alla stragrande maggioranza del pubblico, spesso coperto dalla fama del remake diretto da Brian De Palma nel 1983 con protagonista Al Pacino, Scarface è in verità una pellicola fondamentale, in disperato bisogno di essere riscoperta sia per la sua funzione di precursore per tutti i film che anche oggi si cimentano nello stesso argomento sia per la sua lucidità e strabiliante modernità nel trattare questo altresì complicato tema, non risparmiandosi, fin dalle prime parole che, accusatrici, scorrono sullo schermo, una violenta critica non tanto ai malviventi stessi, quanto all’incapacità del governo e delle istituzioni di affrontare e risolvere un problema di così grande gravità.
Infatti, con ciò, problema totalmente ignorato da Brian De Palma e dal suo remake, il film può lanciarsi in una profonda riflessione chiedendosi se sia giusta l’azione che la pellicola stessa sta portando a termine, ossia l’inevitabile romanticizzazione delle figure dei malviventi, della violenza e di tutto ciò che essa si porta dietro, quindi il rischio di emulazione e di ammirazione verso i mafiosi e la mafia in generale. Allo stesso tempo, si argomenta all’interno della pellicola che non può essere considerato un male il fatto che taluni mezzi di comunicazione pongano questi fatti inerenti alla malavita in prima pagina, perché essi non fanno altro che presentare il problema all’opinione pubblica e soprattutto alle autorità che, invece di agire stroncando queste pericolose organizzazioni, non fanno altro che lamentarsi con coloro che le espongono e le accusano. Sono temi come questo che rendono questo film imperdibile, per la sua presa di posizione, per il suo atto d’accusa e per il suo non limitarsi soltanto ad offrire agli spettatori un buon intrattenimento di un’ora e mezza, ma per il suo invitarli ad agire, a prendere posizione ed a sradicare la piaga che il film presenta loro.
Un film si può dire “attivo” che ha ispirato, negli anni seguenti, dozzine di film “passivi” che, dimenticando la fondamentale lezione di Scarface, romanticizzano certe figure e certe azioni senza neanche porsi il problema. Brillante è inoltre la regia di Hawks che, non potendo, causa una legge dell’epoca, mostrare nessun tipo di violenza in modo diretto, sceglie di ricorrere a metodi estremamente inventivi per ciascuna sparatoria e omicidio, attraverso giochi di ombre e di prospettiva. L'interpretazione, forse esagerata e parodistica, di Paul Muni riesce però ad offrire al suo personaggio una straziante drammaticità verso la conclusione del film quando, da “re del mondo” quale era fa capire a tutti il codardo ed il verme che non poteva non celarsi dietro tanta superbia.
Al tempo della sua uscita Scarface destò inoltre feroci critiche dalla comunità italo-americana e dal Regno d’Italia stesso, allora sotto l’orgogliosissimo regime di Benito Mussolini, venendo accusato da questi di rovinare l’immagine secondo loro immacolata degli italiani. Eppure il film, dal mio punto di vista, è una continua lode e omaggio al Bel Paese, dagli intrecci machiavelliani che Tony mette in atto durante la sua ascesa al potere alla portata tragica del finale, rimandante chiaramente alle atmosfere melodrammatiche. In verità la pellicola non è altro che un invito agli italiani onesti e lavoratori, residenti in America e non, rappresentati nel film dalla figura della madre di Tony, a dissociarsi nel modo più estremo dalla criminalità che porta, quella sì, a sporcare il loro nome e ad infamare tutta la loro nazione ed il loro popolo. Un atto d’accusa lontano da generalizzazioni e razzismi, un invito a riconoscere e a combattere un problema che, purtroppo, da alcuni, anche ai giorni nostri, non è stato ancora accettato.