In una caldissima sera bolognese, complice la Sala Farnese di Palazzo D'Accursio e un pubblico rapito dalla proiezione di Monterey Pop in Piazza Maggiore, abbiamo incontrato Thierry Frémaux, Direttore dell'Institut Lumière di Lione e del celeberrimo Festival de Cannes. Come si diceva in Jules e Jim, l'avvenire, è dei curiosi di professione, e noi abbiamo azzardato qualche timida domanda sull'industria cinematografica, il Festival del Cinema Ritrovato e il futuro dei mestieri del cinema.

Il Cinema Ritrovato è una "maniera di stare al mondo". È con questa frase che Thierry Frémaux apre il dialogo, ed è da questa frase che parte la filosofia di vita di una persona che ad oggi, si ritrova nell'ombelico cinematografico più dinamico del mondo: il Festival de Cannes. Come per la passione per il cinema, la cinefilia, educare alla visione e interpretazione dell'immagine in movimento significa interrogare il passato per rileggere il presente. Occuparsi di cinema - dal restauro alla distrubuzione di film, sino all'organizzazione di un Festival - non è un'operazione meramente nostalgica, un viaggio nel tempo, piuttosto una visione consapevole e strutturata del presente, nell'ottica di una lettura sempre nuova, del cinema, nel nostro tempo.

Nell'esperienza più che ventennale all'Istituto Lumière (alla cui fondazione contribuì, prendendovi parte da volontario) Thierry Frémaux è stato osservatore partecipe della storia del cinema, vedendolo nascere e ri-nascere tre volte: con l'invenzione del cinematografo, con l'invenzione del film e con l'invenzione della sala cinematografica. Tre opere prime che suonano più come evoluzioni di un possibile modo di fruire dell'immagine in movimento: il pubblico, all'epoca, si ritrovò investito da una serie di esplorazioni visionarie ed esplosive ma che corrispondevano alla loro esigenza in quel momento.

Oggi, nonostante, la comparsa di diverse tipologie di schermi, dall'avvento della televisione al personal computer, sino al più piccolo schermo mobile, paradossalmente la visione più social e soddisfacente di un film, resta quella dell'esperienza in sala cinematografica. 

Jean-Luc Godard diceva "Levez les yeux aux images". La visione di una proiezione in sala risulta un momento celebrativo e un'esperienza di grande carisma che permette di educare nel profondo, perché lavora sulle emozioni e le percezioni visive. Imprese come la realizzazione di un Festival di Cinema, non possono prescindere dall'elemento emotivo ed educativo, ma hanno anche il dovere di costruire una struttura coerente e in continuità con la comunità di spettatori del tempo presente.

In quest'ottica, secondo Frémaux, le operazioni messe in atto dalla Cineteca di Bologna con il Festival del Cinema Ritrovato hanno percorso una strada ben definita: si è trattato di scegliere di non prendere parte ad abitudini che si incontrano spesso negli ambienti cinematografici di "vanto" e di "polemica", ma di aprire un varco di dialogo nuovo, riprendendo la tradizione e la storia dell'artigianato cinematografico e coltivare la buona abitudine di conservare – mostrare – educare il pubblico, in prima istanza, inventare - realizzare un Laboratorio di formazione che rendesse sostenibile l'arte del cinema, in secondo luogo.

Il Laboratorio de L'immagine ritrovata è stato un lampo di genio, allo stesso livello del Marché du Film a Cannes: Frémaux è consapevole che di festival di cinema ce ne sono tanti, a volte troppi, ma il Cinema Ritrovato ha scelto di rendere sostenibile questo evento, attraverso l'attivazione di percorsi di formazione. L'obiettivo è mantenere una sorta di coerenza tra le operazioni di restauro e divulgazione del passato del cinema e la formazione di figure professionali che possano incidere efficacemente sulla continuità dell'arte cinematografica. Questo genere di eventi, diventa quindi qualcosa di unico al mondo: "qui non si tratta solo di passione per il cinema" – afferma Frémaux, energicamente - "ma di strutturare, salvare e perpetrare l'artigianato cinematografico, lavorare con la materia".

Certamente ci sono altri luoghi di restauro cinematografico nel mondo, in Europa, ma non tutti hanno un Festival, le proiezioni-evento in Piazza Maggiore e laboratori come L'immagine ritrovata, che fanno sì che la legittimità artistica del festival sia equilibrata con la legittimità scientifica, industriale e professionale dei laboratori; ed è questo tipo di rapporto reale con la materia, con la formazione e il pubblico che rende vincente e credibile un Festival di Cinema. In questo gemellaggio Bologna-Lione, tra la Cineteca di Bologna e l'Istituto Lumière, c'è un elemento comune, un filo conduttore unico: la presenza di giovani trentenni - nella formazione e nei laboratori - che offre uno sguardo fresco, dinamico e libero all'avvenire dell'industria cinematografica.

Thierry Frémaux è convinto che queste due grandi istituzioni si ritrovino in uno status di outsider: dove si è diversi, fuori dagli schemi, unici e quindi liberi di agire, più liberi dal passato e più leggeri verso il futuro, perchè non è utile protestare, distruggere o essere legati ad una "religione del cinema"; per educare non si può dialogare con il filtro di un'unica esperienza, ma occorre soprattutto reinventare la stessa concezione della passione per il cinema, in cui sguardo nuovo non è sinonimo di naïveté, ma sta ad indicare, piuttosto, un rapporto di apertura d'animo al cambiamento delle epoche cinematografiche e all'accettazione che non ci sono operazioni di edutainement indiscutibili nel tempo, ma esistono soltanto letture e riletture, di esperienze che un tempo erano in un modo, ma oggi, cambiano inevitabilmente visione.

Mostrare al pubblico, nel 2017, La verità di Clouzot, un film del 1961, significa dialogare con un nuovo pubblico, con una nuova storia, restare in ascolto e re-inventare la lettura del film, 54 anni dopo, perchè siamo in un altro tempo, ed è a questo che deve rendere servizio un'operazione come il Festival di Cinema. "Il cinema vive da 122 anni, e per il momento, l'immaginario collettivo si affida alla sua continuità", così ci saluta Thierry Frémaux, lasciando la porta aperta, al secondo tempo del cinema.