Il successo senza precedenti de La febbre del sabato sera e la sua statura mitica nell'immaginario collettivo nascono da una curiosa anacronia: il film di John Badham esce in sala nel 1977, anno in cui il punk e il rap cominciano a imporsi sulla scena e la disco dance viene rigettata con scherno, ma riesce per paradosso a sigillare nel tempo una cultura musicale e un'epoca storica assolutamente irripetibili, ancora oggi nostalgicamente idolatrate e identificate nel corpo-simulacro di John Travolta.

Diretta debitrice di Gioventù bruciata e Mean Streets, la parabola proletaria del giovane Tony Manero trova ragion d'essere nella sinergia conflittuale tra le brutture della quotidianità di Brooklyn e l'appagamento idilliaco provato sulla pista del 2001 Odyssey – diretto e divertito omaggio al capolavoro di Kubrick. La discoteca è un rifugio sicuro dalla durezza del presente, un bacino d'accoglienza di razza e di genere dove il ballo è l'unico strumento di comunicazione riconosciuto, ed è in questo microcosmo sfavillante che Tony si impone come padrone della scena con i suoi passi di danza, ipnotici riti di seduzione ma soprattutto orgogliosi atti di emancipazione personale.

A fare da contraltare ai pezzi scatenati dei Bee Gees e dei Tavares vi è infatti un ingabbiamento morale da cui Tony non sembra riuscire a divincolarsi. Il disprezzo della famiglia legata ai valori stantii della tradizione italoamericana, l'ostilità degli amici di quartiere alla continua ricerca di conflitti senza ragione apparente e l'amore non corrisposto per la procace Stephanie acquiscono sempre più il disprezzo del protagonista per la periferia di Brooklyn e lo portano a proiettare i suoi sogni di gloria verso Manhattan, paradiso lontanissimo al di là del ponte. Ed è proprio sul ponte di Verrazzano che il destino di Tony trova compimento, nella più classica tradizione del melodramma, con la morte di uno dei suoi compagni: i tempi delle notti spensierate in discoteca sono finiti e l'unica scelta possibile è usare il ballo non come fuga dal presente ma come base per un futuro migliore.

Con le sue esibizioni autocontemplative Tony Manero è un precursore di quel body cinema che dominerà la scena negli anni Ottanta tramite le celebrazioni parossistiche della fisicità maschile nel genere action: la preparazione del protagonista allo specchio prima di uscire di casa e mettersi in scena, con la benedizione dei poster di Bruce Lee e Rocky Balboa sulle pareti, anticipa i rituali di vestizione di pietre miliari degli Eighties come Rambo o American Gigolo e introduce per la prima volta nell'immaginario il concetto di un corpo efficiente e autosufficiente che si attiva in un determinato contesto (la sala da ballo) ed è lontano da qualunque forma di ostacolo alla propria funzionalità, prima fra tutte il sesso; non è affatto casuale che il meno fortunato sequel del film, Staying Alive, verrà diretto proprio da Sylvester Stallone, l'eroe muscolare per antonomasia.

La febbre dal sabato sera è un film che rievoca il passato, anticipa i tempi futuri e continua a influenzare il presente, raro caso di un'opera che trascende i tempi e le mode senza perdere un briciolo della sua carica trascinante e del suo potenziale iconico.