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Speciale “Grease” III. L’età dell’innocenza perduta

Risulterebbe perciò riduttivo leggere Grease come uno spensierato teen movie, a base di feste scolastiche e pruriginose diatribe tra giovani machi impomatati e le loro promettenti controparti femminili. A ben guardare, infatti, proprio l’ossessione sessuale dei personaggi viene a rompere gli schemi preposti del genere. Abbandonati i complessi esistenziali de Il selvaggio e Gioventù bruciata (richiamati dall’abbigliamento dei personaggi quanto dalla passione per i motori, con tanto di gara di velocità a sancire il più “uomo” di tutti), Kleiser identifica la manifestazione di una naturale pulsione erotica adolescenziale come elemento forte della generazione anni Cinquanta. Lontani dagli asettici ritratti à la Happy Days che la pellicola evidentemente parodia, Danny Zuko e compagnia sono l’incarnazione di una sfrontata giovinezza che comunica disinibita i propri turbamenti corporali. 

Speciale “Grease” II. L’universo finzionale e lo stupore

Ciò che è riuscito a rendere la pellicola così trasversale, in grado di parlare ai pubblici di tutto il globo, è però il vitalismo degli attori, che donano alle coreografie di Patricia Birch una forza rara: tra un ammiccamento e un colpo d’anca è difficile non restare sedotti dai balli su Grease lightnig o We go together. Il cast è inoltre costruito con un gusto sopraffino, a partire dalla folla varia e colorata dei supporting characters. Ognuno dei T-Birds e delle Pink Ladies spicca per scelte di abbigliamento, tono di voce e fissazioni, e la loro forza è tale da mantenere la narrazione coinvolgente anche quando ci si allontana dalla coppia John Travolta/Olivia Newton-John, uno dei binomi più azzeccati della storia del musical. Grease, a decenni di distanza dalla sua release, continua ad emozionare e stupire. 

Speciale “Grease” I. The “I don’t really like musicals but…” effect

We know all the songs, we want all the costumes, we still join in to watch this classic. To close this year’s Cinema Ritrovato Film Festival in Piazza Maggiore, we are invited to a screening of Grease. When it came out it hit fast and globally, making it the movie musical with the highest box office success to this day. Much like Singing in the Rain, Grease is one of those movies we hear people refer to as “I don’t really like musicals, but…”. Audiences are hopelessly devoted to it. Part of the story is sad to tell, as it deals the conflict many teenagers face when they need to adapt different sides of their personality to fit in. 

“La febbre del sabato sera” e l’immaginario italiano

Impreparata ai contraccolpi del fenomeno, l’estrema sinistra interpretò il rito edonista del ballo come “un fenomeno regressivo” che determinava il “ritorno al privato” (nello stesso anno sarebbe uscito Porci con le ali…). Ma se La febbre riuscì ad installarsi nell’immaginario italiano fu anche per la capacità di raccontare comportamenti di massa tipici dei periodi di crisi. Ma, nel bene e nel male, in piena notte della repubblica, la prospettiva italiana delegò ad un proletario italoamericano il desiderio di chiudere con gli anni di piombo, eleggendo il ballerino a pioniere dell’evasione e profeta del riflusso, sulle note di un’indimenticabile colonna sonora.

“La febbre del sabato sera” come generatore di miti

Probabilmente La febbre del sabato sera è uno di quei film su cui è stato scritto tutto e il contrario di tutto, dunque è davvero difficile affermare qualcosa di nuovo. Per questo abbiamo deciso di focalizzarci sulla sua fortissima valenza di generatore di miti. Dato che le icone immortali create dal film nel 1977 furono almeno tre: Tony Manero/John Travolta, i nuovi Bee Gees (svecchiata la loro musica dalla cifra più pop e rinnovata grazie all’uso della disco dance) e il saturday night di una classe operaia, (non più operaia), italo americana in cerca di riscatto.

“La febbre del sabato sera” e la mascolinità passiva del nuovo divo-ballerino

Per continuare il nostro studio su La febbre del sabato sera e le influenze culturali su stili di vita e consumi degli ultimi quarant’anni, ospitiamo questa volta un acuto intervento di Claudio Bisoni, comparso in open access sulla rivista Cinergie – Il cinema e le altre arti, che dedicò uno speciale proprio alla dico music e al rapporto con l’immaginario audiovisivo. Nel denso saggio dell’autore, il corpo e la funzione della sstar Travolta vengono messi in relazione con i temi della mascolinità e della rappresentazione di genere, con risultati sorprendenti. 

“La febbre del sabato sera” secondo la critica

Torna in sala, restaurato in digitale, director’s cut, distribuito dalla Cineteca di Bologna, La febbre del sabato sera. Le fonti critiche non furono tantissime, o meglio del film si parlò parecchio ma soprattutto in termini sociologici. Fuori dai radar cinefili (purtroppo) il capolavoro di John Badham avrebbe cambiato il mondo della cultura popolare. Come ricorda Pauline Kael: “Il pubblico più giovane si vide rappresentato dal film di Badham, così come precedenti generazioni s’erano riconosciute nel Selvaggio, in Gioventù bruciata, nel Laureato e in Easy Rider; e Travolta diventò un culto nazionale praticamente nel giro d’una notte”.

Cinema Ritrovato 2017: “La febbre del sabato sera” e la filosofia della disco

Nel dicembre del 1977, quando La febbre del sabato sera debutta nelle sale americane, il disprezzo crescente verso la nuova musica da ballo, la rapida ascesa del punk e la scia di sangue lasciata nell’estate dello stesso anno dal Figlio di Sam per le strade di New York, allora mecca della disco-music, avevano già ridimensionato il folgorante mito della discoteca. Considerato uno dei film più famosi della storia del cinema, a suo tempo campione di incassi che consacrò definitivamente a star il giovane John Travolta e oggi indiscusso cult intergenerazionale grazie anche alla mitica colonna sonora, a quarantanni di distanza La febbre del sabato sera mantiene inalterato il suo fascino originale.

Cinema Ritrovato 2017: “La febbre del sabato sera”

Il successo senza precedenti de La febbre del sabato sera e la sua statura mitica nell’immaginario collettivo nascono da una curiosa anacronia: il film di John Badham esce in sala nel 1977, anno in cui il punk e il rap cominciano a imporsi sulla scena e la disco dance viene rigettata con scherno, ma riesce per paradosso a sigillare nel tempo una cultura musicale e un’epoca storica assolutamente irripetibili, ancora oggi nostalgicamente idolatrate e identificate nel corpo-simulacro di John Travolta.