Essere adulti è un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Ma anche essere bambini è un compito difficile, e questo film lo evidenzia mostrandoci quanto sia difficile la reciproca comprensione, sebbene si viva tutti nello stesso complesso mondo. Questo però non dovrebbe essere il problema di Johnny, il protagonista di C’mon C’mon che fa il giornalista radiofonico e sta girando in diverse città americane per sottoporre a bambini e adolescenti una serie di domande esistenziali per capire il loro punto di vista: come immagini il tuo futuro? Cosa pensi che ci sia dopo la morte? Pensi che gli adulti ti capiscano?
Un tipo di indagine che negli anni recenti sembra essere molto di moda anche nel mondo della televisione, dei serial e dei social, dove spesso ci possiamo imbattere in video che raccontano il rapporto dei bambini con le tecnologie, con le dinamiche di genere, con l’ambiente, con la recente esperienza della pandemia e così via. E sorge così la spontanea domanda: queste interrogazioni ci intrattengono per la varietà di risposte che otteniamo da queste piccole menti o riescono davvero a farci ragionare su cosa voglia dire vivere nel mondo di oggi per un bambino?
Il vero confronto di Johnny con la realtà avviene quando la sorella gli chiede di prendersi cura del figlio di nove anni, Jesse, mentre lei cerca di aiutare l’ex compagno affetto da un disturbo depressivo. Dopo una prima fase di fascinazione verso il carismatico zio, Jesse inizia a rivelare l’ampia complessità di emozioni e tensioni che lo animano già in età così giovane, portando Johnny ben lontano dalla sua zona di comfort e ponendolo di fronte alla propria vita come non aveva mai fatto prima.
C’mon C’mon può essere sinteticamente definito come un film sull’intelligenza emotiva, quella capacità celebrale di elaborare ed esternare le emozioni che è stata lungamente sottovalutata dai genitori nelle generazioni precedenti e che comincia ad essere considerata un pilastro dell’educazione adesso, con l’emersione di sempre maggiori studi sulla psicologia del bambino e anche con uno spostamento di attenzione, che è propria della generazione millennial, dall’obiettivo della realizzazione lavorativa a quello del benessere fisico e psicologico.
Il film è scritto per esporre in maniera anche molto didattica questo concetto, costruendo le situazioni adatte per il confronto tra lo zio che tende a non voler affrontare i suoi traumi, dalla perdita della madre al raffreddamento dei rapporti con la sorella, e il nipote che invece ha un’urgenza espressiva dirompente, è stressato all’idea di essere lasciato dalla mamma, dall’allontanamento del papà e in generale dalla sensazione di non sentirsi ascoltato e capito nel suo effluvio di emozioni.
Questo confronto si sviluppa lentamente lungo la convivenza sempre più stretta di zio e nipote, mentre si spostano in queste città ricche di luci, di palazzi e di persone, ambienti sempre pieni che rimandano al dinamismo e al caos che anima la storia di ognuno. Queste splendide immagini contribuiscono anche a riaffermare il doppio livello in cui le riflessioni poste nel film si svolgono, un livello che tende all’universale delle interviste e uno che invece emerge dai protagonisti. Mills ci dice che la ricerca di risposte si trova in entrambi i contesti, che la ricerca della nostra via individuale corre parallela a quella più vasta di comprensione del mondo inseguita anche da Johnny.
Non è un caso anche il fatto che il protagonista lavori in radio e registri i suoni e le voci dei ragazzi, non le immagini. Nel nostro mondo è la vista il senso principale, soprattutto per gli adulti, mentre l’udito richiede di adottare un altro punto di vista ed è maggiormente usato dai bambini. Johnny è quindi un adulto già propenso verso la sfida di comprendere ciò che è fuori da sé, sebbene la vera prova la troverà al di fuori del lavoro, ma non è pronto invece a un’indagine su di sé, cosa che puntualmente avviene quando si diventa genitori o se ne fanno le veci. Johnny e Jesse diventano uno il rifugio dell’altro, uno l’esempio per l’altro, eludendo il concetto che siano i grandi a donare strumenti di sopravvivenza ai più piccoli.
Il film espone tutto ciò con chiarezza e con grazia, e nulla si può appuntare dal punto di vista tecnico dell’immagine e del montaggio. Consideriamo che i temi sono in linea con il lavoro di Mills, improntato all’indagine dei personaggi e delle storie, ma a tratti potrebbe sembrare davvero una lezione trasposta con bellissime immagini.