E se una horror comedy delirante, basata sull’assurda contrapposizione tra un manipolo di grotteschi personaggi ad un orso nero americano strafatto di cocaina, si elevasse a spunto di riflessione su uno dei temi centrali del dibattito politico e sociale del momento? Ovviamente non è questo il caso, dal momento che il film di Elizabeth Banks rimane nulla più che una bizzarra operazione di intrattenimento low budget fondata su una premessa talmente inverosimile da poter derivare solamente da un reale fatto di cronaca.

Indubbiamente c’è della macabra ironia nel fatto che Cocainorso arrivi nelle sale italiane in un clima in cui la presenza di questi predatori in alcune zone popolate da esseri umani (o viceversa?) sta sollevando un acceso dibattito. Niente più che una beffarda casualità. L’uscita del film nel nostro paese era stata fissata per la fine di aprile (inizialmente prevista per il 27, poi anticipata di una settimana) sin dallo scorso novembre. La premessa è liberamente ispirata ad un episodio avvenuto nel 1985 in Georgia, quando un carico di cocaina venne lanciato da un aereo finendo disperso in una foresta. Qui sarebbe poi stato rinvenuto da un orso che ne avrebbe ingerito una quantità tale da provocarne la morte nel giro di pochi minuti.

Banks e lo sceneggiatore Jimmy Warden partono da questo triste evento e ne traggono uno stoner movie in cui, sotto l’effetto della droga nonché esasperato da un’immediata dipendenza, l’animale si lancia alla feroce ricerca di ulteriori dosi della ben nota polvere bianca, trasformandosi quindi in una bestia omicida per chiunque si trovi sulla sua strada. La controparte umana è rappresentata da svariati personaggi monodimensionali, differenziati in base ai ruoli e al grado di risibilità, il cui scopo è quello di sostenere la trama o, nel peggiore dei casi, divenire facile carne da macello, utile ad alimentare la corposa componente gore.

Perché nonostante la continua ricerca della comicità, Cocainorso non si pone alcun problema nell’oltrepassare ampiamente i consueti limiti del visibile cinematografico. Ragione per cui, a dispetto del tono scanzonato che accompagna l’intera visione, questo rimane un film di rara violenza che, come nella descrizione pirandelliana dell’ironia retorica, espone determinati elementi per significare l’opposto. In questo modo ci si trova ad assistere ad una parata di mutilazioni, sventramenti, decapitazioni e altre sanguinarie invenzioni mostrate secondo tempi e modalità del più sfrenato cinema comico.

Il risultato è straniante, ma non privo di un certo fascino. Nella sua esuberanza senza freni e nella mancata ricerca di un compromesso tra violenza e comicità, le quali non sono sintetizzate ma sovrapposte, il film riesce nel suo proponimento di intrattenere senza particolare sforzo. E lo fa secondo le proprie regole, esagerando ma senza dare l’impressione di perdere totalmente il controllo, concedendo finanche degli sporadici momenti di tenerezza che suonano più da contrappunto ristoratore alla cacofonia dominante che non a veri e propri attimi di pregnanza emotiva. In tutto questo trova anche spazio l’ultima interpretazione su grande schermo del compianto Ray Liotta, il cui narcotrafficante senza scrupoli nonché padre assente e anaffettivo si rivela il villain assoluto di questo allucinato racconto in cui la natura si mostra nella sua veste più brutale ma senza essere condannata.

Perché anche un’opera claudicante e scanzonata come questa riesce a mantenere una lucidità sufficiente a non distribuire puerili colpe e facili sanzioni. Ma rimanendo all’interno di un discorso pertinente all’opera stessa, possiamo concludere rallegrandoci per la presenza di un film come Cocainorso, godere dell’euforica quanto macabra vitalità che lo ha reso uno dei fenomeni commerciali più interessanti di questa prima parte dell’anno nel mercato USA. E al contempo auspicare che una simile irriverenza creativa possa in futuro accompagnarsi a progetti muniti di maggiori risorse, in modo da rivitalizzare un cinema d’intrattenimento mainstream che sempre più spesso presenta il rischio di portare lo spettatore verso una sonnolenta assuefazione.