“Cosa afferma? Che domanda? È il mistero del pittore che, credo, non sarà mai rivelato. Perché tutte le grandi tele mantengono il loro segreto e colui che sulla tela volesse saperne di più di quel che il pittore ha voluto dire sarebbe un criminale buzzurro. Questa tela, Pablo Picasso, è semplice come il vuoto e ci sono ricordi, i suoi e interrogativi”. Nel febbraio del '46, all’ospedale psichiatrico di Rodez, Antonin Artaud scriveva queste parole in una lettera che Picasso non ricevette mai. La riflessione di Artaud si sposa perfettamente con il discorso di André Bazin su Le Mystère Picasso (1956), pellicola attraverso la quale Henri-Georges Clouzot vuole spiegare il mistero picassiano mostrando la genesi della creazione artistica, ma in realtà, osserva Bazin, “non spiega niente”. Il preambolo del film di Clouzot, suggerito forse dalla volontà di raggiungere un pubblico più vasto, rischia di semplificare l’enigma del genio artistico: “Per conoscere quel meccanismo segreto che guida il creatore nella sua pericolosa avventura. (…) Per sapere cosa succede nella testa di un pittore basta seguire la sua mano”.
Questa non vuole essere una critica, Le Mystère Picasso resta uno dei film sull’arte più rivoluzionari, per la precisione ha dato il via a una seconda rivoluzione, sulla scia di una prima rivoluzione “aperta dai film di Emmer e Gras e così splendidamente sviluppata nelle sue conseguenze da Alain Resnais”. (André Bazin, Che cosa è il cinema?, Milano 1999). Clouzot, lontano da ogni intento didattico e didascalico mostra Picasso all’opera, l’universo pittorico del quadro non è più contenuto dai limiti angusti della cornice ma si fonde con l’universo tout court, la macchina da presa registra i gesti e i segni tracciati sulla tela bianca, la suspense che si crea porta lo spettatore ad anticipare la prossima mossa ma l’imprevedibilità dell’artista sembra disattendere ogni previsione.
Bazin riconosce nella pellicola di Clouzot una dimensione supplementare della creazione, il tempo impiegato dall’artista è parte integrante dell’opera, le fasi intermedie, un susseguirsi di scelte e ripensamenti, trasformazioni necessarie che racchiudono l’essenza dell’opera finale, veri e propri quadri che bisogna sacrificare fino a quando il pittore non si ritiene soddisfatto. “Bisognerebbe poter mostrare i quadri che sono sotto i quadri”, sostiene Picasso, una verità incontestabile. Il montaggio svela il processo pittorico, il divenire delle forme, il “quadro che esiste nel tempo, che ha la sua durata, la sua vita e qualche volta – come alla fine del film – la sua morte”.
Clouzot ha avuto il coraggio di non adeguarsi alla breve durata a cui solitamente i film d’arte sono destinati, il limite temporale del corto e del mediometraggio avrebbe di certo sminuito l’impatto del film alterando la temporalità della pittura e quando uno chassis di pellicola sta per finire, Picasso lancia la sfida alla macchina da presa, concludendo in tempo la sua tela.
Le Mystère Picasso è da considerarsi secondo Bazin “un film a colori al secondo grado”, è a colori quando lo schermo è occupato dalla pittura e in bianco e nero nelle sequenze extra-pittoriche: “Bisogna essere un famoso regista per reinventare il giorno e la notte. Clouzot fa così ammettere (tanto implicitamente che solo la riflessione ce lo rivela) come una realtà naturale che il mondo reale sia in bianco e nero, a ‘esclusione della pittura’”. Il regista e il direttore della fotografia Claude Renoir ripropongono le ombre e le luci dei film noir, la vivacità cromatica della pittura si contrappone al grigiore e all’oscurità dell’esistenza, quelle tenebre che l’arte sembra negare, i toni cupi di Guernica sono l’esempio lampante di questo rifiuto solo apparente.
“Una colomba fra due guerre”, così Luciano Emmer aveva chiamato Picasso (Incontrare Picasso, 2000), acuta definizione del ruolo politico dell’artista: “No, la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”. (Scritti di Picasso, a cura di Mario De Micheli, Milano 1973). In una famosa conversazione apparsa su “Lettres Françaises” il 24 marzo 1945, Picasso, “la colomba fra due guerre”, racconta di quando i tedeschi gli facevano visita con la scusa di ammirare i suoi quadri e lui distribuiva delle cartoline su cui era riprodotta Guernica, poi salutava dicendo loro: “Portatela via! Souvenir, souvenir!”