Cremastere: muscolo dell’apparato genitale maschile che regola la contrazione, cioè l’innalzamento e l’abbassamento dei testicoli in relazione agli stimoli esterni. Il cremastere è presente nel feto di entrambi i sessi, e il suo “scendere” corrisponde alla differenziazione maschile, il suo “ascendere” a quella femminile.
Tale definizione è molto utile alla comprensione, perlomeno in chiave simbolica e metaforica, del ciclo di cinque film che l’artista Matthew Barney ha realizzato tra il 1994 e il 2002 e che il cinema Lumière ha proposto nell’ultima settimana all’interno della rassegna Art City Cinema. L’utilità è dovuta al fatto che i temi principali dell’opera sono maschilità e differenziazione sessuale.
Il Cremaster Cycle è un lavoro che si pone al confine tra cinema e videoarte, composto da cinque film prodotti e messi in circolazione in modo volutamente disordinato: il primo ad essere girato fu Cremaster 4 (1994) e l’ultimo Cremaster 3 (2002), inframezzati da 1, 5 e 2. Detto questo, potrebbe sorprendere la decisione da parte del Lumière di proiettarli in ordine sequenziale, ma in realtà non esiste uno sviluppo temporale lineare: sono presenti molteplici inizi e conclusioni ed è possibile accedere al ciclo – come sostiene lo stesso autore – da qualunque punto. L’opera presenta molteplici livelli narrativi rendendone difficile, se non impossibile, un sunto; questi si rivelano piuttosto elementari, popolati da personaggi asessuati o ibridi in continua metamorfosi, molti dei quali interpretati dallo stesso Barney.
Inevitabilmente il progetto risente delle esperienze di vita dell’autore, il quale, prima di laurearsi a Yale in arti visive, è stato studente di medicina, atleta e modello. La performance è centrale in ogni momento, il corpo di Barney è sempre sottoposto a prove fisiche piuttosto estreme, rischiose, che vogliono essere per sua stessa ammissione «simbolo contemporaneo della creazione». Nel Cremaster Cycle la temporalità dilatata e l’apparente cristallizzazione del ritmo del racconto sono riconducibili ai tempi produttivi appartenenti all’arte e in particolare alla scultura; secondo Barney i suoi film andrebbero visti come entità tridimensionali poiché egli crede che tutta la sua pratica sia di tipo scultoreo.
È possibile inoltre, dal momento che di incontro tra cinema e videoarte stiamo parlando, notare un sentito citazionismo verso grandi capolavori, dalle ambientazioni di 2001: Odissea nello spazio alle coreografie di Busby Berkeley che riportano alla mente La danza delle luci di Mervyn LeRoy del 1933, o ancora alle atmosfere alienanti e claustrofobiche di un certo cinema di David Lynch. A ben vedere oltre ai singoli casi di debiti visivi riconoscibili, sembra ci sia l’intenzione di andare a pescare generi e stili classici, mescolarli, rinnovarli e operare una sorta di omaggio alla storia del cinema. Nel corso del ciclo s’individuano facilmente il musical, il western, il gangster movie, il fantasy, il film in costume, il mondo teatrale, dell’opera lirica e il documentario.
Ma, alla soglia del nuovo millennio, Barney decide di andare oltre il cinema, accostandogli una forma che negli ultimi anni sta giustamente acquisendo valore artistico: quella del videogioco. Nella parte conclusiva dell’ultimo film del ciclo, il Cremaster 3, ritaglia uno spazio per The Order, episodio in cui interpreta la presunta evoluzione del personaggio che abbiamo seguito fino a poco prima: ora è dipinto di rosa, vestito di kilt e copricapo anch’essi del medesimo colore e con un tessuto che esce dalla bocca sanguinante. Ci troviamo all’interno del Guggenheim Museum di New York e Barney è intento in una scalata che lo porterà a esplorare i cinque livelli dell’edificio progettato da Frank Lloyd Wright, ognuno dei quali rimanda a uno dei film del ciclo, restituendo allo spettatore una possibile chiave di lettura. Lo scalatore in rosa, proprio come in un videogame, dovrà superare una prova per ciascun livello e solo successivamente potrà tornare il personaggio che avevamo seguito in precedenza e sconfiggere il “mostro finale” (interpretato dallo scultore Richard Serra) che abita l’ultimo piano del Chrysler Building, edificio nel quale Barney ambienta l’intero film, fatta eccezione per il segmento The Order.
Opera complessa e di non facile comprensione che intreccia arte, cinema, videogioco e performance fisica, il Cremaster Cycle è una riflessione sulla sessualità e sull’indeterminatezza del genere filmata in maniera esteticamente impeccabile.