Un condottiero che vive i suoi film come imprese eroiche che esigono volontà, coraggio, integrità e spirito di sacrificio”. Sono le parole di Federico Fellini che si conforta, ogni volta che quel qualcuno, come un crociato, sta per lavorare a un tipo di film alla scoperta di alcune zone d’ombra della nostra esistenza nazionale. Si affranca al pensiero, che quel qualcuno, attraverso il cinema sposi una problematica politica a discapito suo, che ne rimane, volontariamente e irrimediabilmente, escluso. Quel crociato, è Francesco Rosi e quel tipo di impresa eroica, è una ricerca sfrenata di verità in un’Italia nemica e giurata di se stessa.

Come recita un passo del poeta francese Paul Éluard (Esiste un altro mondo, ma è in questo”) Rosi fa di banditi siciliani, di collusi tra Stato e sfruttamento edilizio partenopeo, di piani politici astrusi e idioti, dell’immobile civiltà di contadini serrati nei dolori e negli usi, prede perfette per essere divorate dalla sua macchina da presa. Spinto dall’idea che si debba partire dalla realtà per costruire una storia, così come la scuola viscontiana gli insegnò, il “metodo Rosi” è fatto di cronachismo incisivo e asciutto e ci ha scagliati in un altro mondo pur facendoci restare nel nostro Paese: l’abisso dei contadini lucani, nell’adattamento cinematografico di Cristo si è fermato a Eboli, ne è un esempio.

A quasi ottant’anni dalla sua pubblicazione, Cristo si è fermato a Eboli, il romanzo dello scrittore torinese Carlo Levi, diventa un film nel 1979. David di Donatello per miglior film e miglior regia. Si tuffano nella sceneggiatura anche Tonino Guerra e Raffaele La Capria, che da bambino insieme al regista napoletano si tuffa anche dagli scogli di Posillipo mentre si facevano forti solo dei loro sogni.

Si arriva alle verità del Mezzogiorno entrando dalle case dei contadini con un Gian Maria Volonté, ancora una volta idolo camaleontico indiscusso di Rosi, nelle vesti dello scrittore, pittore e medico torinese condannato al confino negli anni 1935-36 per la sua militanza antifascista in Giustizia e Libertà. Le desolate lande di Lucania (Aliano in provincia di Matera), gli incantevoli colori di quelle terre malariche fanno la loro prima apparizione nei salotti degli italiani nel 1980 a poche settimane dal sisma che devastò la zona irpino-lucana della Penisola, in 4 episodi televisivi trasmessi dalla Rai fino al 7 Gennaio 1981.

“Nessuno ha toccato questa terra, se non come un conquistatore, un nemico o un visitatore incomprensivo” intona Volonté nei primissimi minuti del film mentre la colonna sonora del jazzista Piero Piccioni guida lo spettatore nel mondo arcaico educato solo dalla sapienza stregonesca. Ma Rosi salta le pagine dedicate alla dimensione antropologica e magica di questo viaggio, e il suo segnalibro si ferma su quella sociale e politica.

Ad esempio, il fascismo, l’autorità dello Stato era sì un nemico, un male della storia, ma di una storia estranea, appartenente ad altri; il “confinato” politico Levi/Volonté diventa subito, insieme alla vedova, il becchino, l’arciprete, la Giulia, Don Luigino, il Dottor Milillo, un “fratello” esiliato come loro; quei contadini diventano i “suoi” contadini, li cura con l’uso del chinino divenendo un loro alleato. Ed ecco che Rosi,  in un clima neorealista ma diffidando di un certo sentimentalismo, fa avvicinare il Nord e il Sud descrivendo una solidarietà umana che non vuole redimere il tempo eternamente circolare dei contadini fatto di dolore, fatica e miseria ma tenta di spiegarne una resistenza.

Che è quella del Sud, volta a proteggere la sua identità. Emblematico il dialogo tra Lea Massari, che interpreta Luisa Levi, sorella di Carlo, incapace di raccapezzarsi di fronte a così tanta abulia nel voler fare qualcosa per quei paesi; la risposta di Carlo/Volonté svela il mito culturale e civile del Sud come critica a quel Settentrione industriale e tecnologico dove contano la prestazione e l’efficienza. Nel centenario della sua nascita, da quando Francesco Rosi ha messo “le mani sulle città invisibili” con le sue indagini sociologiche, Cristo non si è fermato solo ad Eboli.