Presentato al Sundence Film Festival e distribuito da Prime Video, La specialista è il primo lungometraggio di Mariama Diallo autrice che Variety ha inserito tra i registi emergenti più promettenti del 2022. Il film si inserisce nel fortunato filone del nuovo black horror statunitense, interessante veicolo di aspre e pungenti critiche al sistema nazionale e al razzismo più o meno latente che ancora lo permea a più livelli e in diverse forme. Dinamiche che Diallo individua e contestualizza nei college universitari, luoghi esclusivi ed escludenti deputati alla formazione della futura classe dirigente in cui inevitabilmente si riflettono in scala minore attuali problematiche sociali.

Sullo sfondo dell’Ancaster, istituto a prevalenza bianca noto per alcune leggende legate al soprannaturale e ai pochi studenti neri lì transitati, si intrecciano le vicende della matricola Jasmine, la professoressa Liv e la responsabile della residenza Gail. Tre afroamericane, tre pesci fuor d’acqua sotto lo sguardo opprimente di colleghi e studenti. In particolare Gail, la prima donna nera a rivestire uno dei ruoli più significativi dell’istituzione nazionale.

Il master del titolo originale è il docente scelto per supervisionare e curare la vita culturale del campus oltre a occuparsi dei problemi didattici e personali degli studenti. “Quando arrivi al college, ti ritrovi a che fare con un termine, master, padrone, con cui fare i conti. Ti dicono che non ha nulla a che fare con la schiavitù, sebbene la parola padrone rievochi immediatamente certi contesti. Lo si accetta quasi passivamente in un lasso di tempo straordinariamente e inquietantemente breve”, afferma la regista evidenziando il retaggio razzista e conservatore oggetto del film e della questione che affronta alla luce delle contestazioni studentesche del 2016 che hanno portato all’eliminazione di questo soprannome all’interno delle università.

Episodi di nepotismo, discriminazione, pressione e violenza ai danni di studenti appartenenti a minoranze etniche, spesso silenziati per evitare scandali, sono da tempo materia del nuovo cinema afroamericano. Ma La specialista non vuole esserne una trasposizione in chiave orrorifica. È chiaro che per Diallo non importi far paura quanto sfruttare l’inquietante atmosfera per condurre lo spettatore su un terreno più riflessivo.

Gli aspetti più macabri vengono presto abbandonati – spesso con passaggi e soluzioni forzate o poco chiare – per dare più risalto alla psicologia di Gail, che vive con particolare apprensione il proprio ruolo di mediatrice tra docenti e allievi rendendosi presto conto che la sua nomina è solo di facciata. L’intenzione dell’istituto è infatti rinnovare la propria immagine, attraverso le prime e sole professoresse nere del college. Come se eleggere un nero a un’alta carica istituzionale (il paragone con Obama a inizio film non è causale) cancellasse automaticamente un passato diametralmente opposto. È quanto la docente rinfaccia ai suoi colleghi: di limitarsi all’apparenza preferendo non vedere o nascondere i problemi veri sotto un nuovo tappeto.

Un’accusa che idealmente si estende all’ambiente intellettuale contemporaneo, che troppo spesso fa del colorwashing una pericolosa tendenza all’autoassoluzione. Quasi che l’essere bianchi o neri sia solo una questione melanica senza alcun’altra implicazione socioculturale.