Da 5 Bloods – Come fratelli conferma il grande ritorno di Spike Lee, che dimostra di aver ritrovato la sua vena più ispirata dopo un decennio sfortunato, fatto di scelte coraggiose non sempre comprese da pubblico e critica. Sulla scia dell’esplosivo BlacKkKlansman, il regista di Atlanta torna a rivangare il passato recente d’America in cerca delle radici dei grandi problemi irrisolti nel contesto nazionale contemporaneo. La vicenda dei quattro veterani afroamericani, che tornano in Vietnam alla ricerca delle spoglie di un quinto commilitone e di un tesoro sottratto anni addietro al governo americano e ai Lahu per sostenere la causa nera, ha una doppia funzione. Da una parte affrontare una pagina troppo poco conosciuta della storia statunitense, ovvero il contributo afroamericano alla causa bellica, dall’altra lanciare una critica feroce all’odierno spirito americano incarnato dal modello trumpiano, la cui avidità e prepotenza stanno logorando dall’interno il tessuto sociale, mettendo tutti contro tutti in uno scontro fratricida le cui conseguenze sono ormai evidenti.
Come già in Miracolo a Sant’Anna, Spike celebra le truppe afroamericane impegnate in storici conflitti bellici nazionali, dando loro rilievo e valore come mai fatto prima d’ora a Hollywood (la stoccata a Rambo e Walker Texas Ranger). In Da 5 Bloods – che ha ricevuto il plauso delle associazioni di reduci neri – il regista presenta con ancora maggior efficacia il dilemma di questi militari, costretti a combattere una guerra non loro in nome di un Paese che non li riconosceva come suoi cittadini. Una questione morale che ognuno ha vissuto a modo proprio, facendoci i conti prima, durante e dopo il conflitto, finendo per mischiare traumi e ferite interiori con quelle del corpo, come ben dimostrano le storie personali dei quattro e in particolare Paul, lacerato dai fantasmi di un passato irrisolto.
Alla maniera di Lee, il nucleo di personaggi si fa rappresentativo di una molteplicità di voci, identità e coscienze in un costante dialogo il più delle volte conflittuale che dà corpo alla pluralità della comunità nera, vista troppo spesso come monolitica e caratterizzata da un pensiero univoco. La loro missione si trasforma così in una rielaborazione del proprio vissuto, una sorta di viaggio interiore per far pace con sé stessi, un po’ come Apocalypse Now, non a caso dichiaratamente indicato dall’autore come sua fonte di ispirazione: anche lì i soldati erano in cerca di un superiore, ma il viaggio diventava ben altro.
Ma all’intenzione etica, Spike aggiunge quella puramente materiale: il recupero dell’oro, che nessuno tranne Eddie ha intenzione di donare alla loro comunità, com’era nelle intenzioni originali del disperso Norman. E qui sta la forza di Da 5 Bloods, nel mostrare una comunità afroamericana non più immacolata e integerrima come si autoproclamava sul finire degli anni Sessanta, bensì ormai corrotta dal sistema di cui volente o nolente è diventata a sua volta ingranaggio, facendosi ulteriormente dilaniare da quegli stessi mali che un tempo voleva rifuggire. Come ne Il tesoro della Sierra Madre, altra pellicola a cui il film deve molto, la brama di ricchezza viene a trasformare i protagonisti, mettendone in discussione princìpi e valori, minando i rapporti di famiglia, amicizia e fratellanza appena rinsaldati. Un legame di sangue (quel “bloods” del titolo) che resiste però a divergenze e avversità, non limitandosi infine ai diritti o interessi del singolo ma, parafrasando Martin Luther King Jr., “liberi l’America o la salvi da se stessa”.