Die Frau, nach der man sich sehnt (1929), film muto tedesco del regista Kurt Bernhardt, adattamento dell’omonimo libro di Max Brod, all’epoca celebre romanziere oggi noto come storico curatore delle opere di F. Kafka, è ’esattamente la prova di quanto affermato da Steven Bach quando sostiene che Joseph von Sternberg non ha inventato Marlene Dietrich e nemmeno l’ha scoperta ma è lei che si è svelata al mondo mostrando l'affascinante donna che a Hollywood si trasformerà nel mito leggendario che tutti conosciamo,

In questo film per la prima volta Marlene interpreta, con una recitazione che è sempre espressione di una sovrana autodeterminazione e una giustapposizione di intensità e distacco che diventerà la sua cifra stilistica, quella figura della donna fatale poi cesellata alla perfezione nei sette film successivi diretti da von Sternberg; quest’ultimo sarà abile nel fornirle le giuste inquadrature, le luci soffuse e le ambientazioni esotiche che plasmeranno i suoi personaggi più seducenti.

In Die Frau, nach der man sich sehnt una Marlene presternberghiana, emanante una naturale spudorata sensualità così levigata e sfingea da renderla quasi irreale (per citare Martinelli), interpreta la misteriosa Satcha, legata al dottor Karoff (Fritz Kortner) da un oscuro segreto che si scoprirà solo alla fine. Durante un viaggio in treno incontra Henri Leblanc (Uno Henning), discendente di una dinastia industriale in bancarotta, in viaggio di nozze con la ricca ereditiera che sposerà per salvare la fabbrica di famiglia.

Dietrich, complice la magia del cinema muto e l’assenza di sonoro sul treno seduce il giovane promesso sposo con la potenza enigmatica del volto e degli occhi; Leblanch si innamora perdutamente di lei abbandonando tutto per salvarla dalle grinfie di Karoff.

Si naviga del mare del melodramma, con i vizi e le virtu’ polarizzate in un triangolo micidiale in cui non ci saranno vincitori ma solo vinti; nell’interpretare la femme fatale Marlene Dietrich si spinge un gradino più in su della mera rappresentazione, la vita vissuta appare come un ruolo assegnato dal fato quale disegno drammatico e irrevocabile, al quale la protagonista non potrà sottrarsi, pagando con la vita.

Interessante notare come all’inizio del film si intravedono le influenze di uno dei primi film "sinfonici" del periodo, lo sperimentale documentario Berlino - Sinfonia di una grande città (1927) diretto da Walter Ruttmann, che è un magnifico esempio di rappresentazione della modernità resa con un montaggio di tagli corti per mostrare plasticamente l'idea della vitalità delle fabbriche, dei treni e della frenesia della metropoli.

La simbologia della modernità presa in prestito da Ruttmann servì al regista per introdurre il tema della fabbrica in fallimento dei Leblanc e contestualizzare il periodo storico del film.