Domenica d'agosto è il prodotto del fortuito incontro tra l'ancora trentenne Luciano Emmer e lo sceneggiatore Sergio Amedei per la prima volta alle prese con la produzione. Una commedia corale ambientata tra un'affollata e tumultuosa Ostia e una Roma desolata e silenziosissima che narra, con un approccio documentaristico, sei vicende che finiranno per intrecciarsi complementarmente l'una nell'altra. Una domenica qualsiasi del mese di agosto persone di diverse estrazioni sociali si riversano nel lido di Ostia per scappare dalla calura cittadina: un gruppo di ragazzi in bicicletta, una numerosa famiglia del proletariato, una coppia che si appresta a lasciare la figlia in colonia. Altri avvenimenti si susseguono mentre la cinepresa si sposta continuamente tra la città deserta e la spiaggia: un disoccupato diventa rapinatore e viene arrestato, una ragazza e il suo corteggiatore, dopo essersi vicendevolmente mentiti, si scoprono poveri e non milionari come avevano tentato di darsi a intendere.

La pellicola venne prodotta solo cinque anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel 1950, un periodo di grandi cambiamenti, messi a fuoco dal regista con abile lucidità e distacco. E' una situazione complessa quella italiana del dopoguerra, ma Emmer riesce a renderla con grande semplicità e spontaneità.

Un film di impianto neorealista, seppur molto attenuato dalla situazione da commedia; questo connubio gli è valso la definizione di “neorealismo rosa”. Su quest'ultimo sottogenere il giudizio non è affatto unanime, da taluni è considerato un neorealismo anemico  e svuotato del suo significato originale, mentre altri ritengono sia un fattore di originalità che un film neorealista riesca a guardare la realtà in maniera sorridente e non drammatica. Quello che è certo è che con Domenica d'agosto Emmer è riuscito a rappresentare lo spirito italiano del secondo dopoguerra in modo ineccepibile. Il finale in cui i due giovani scoprono di essersi vicendevolmente mentiti sulla loro condizione sociale, e di appartenere in realtà entrambi al proletariato, li rende ancora più complici e affiatati. In quel bacio ingenuo rubato al calare della sera si può leggere tutta la speranza ottimistica del popolo italiano negli anni '50.

Merita attenzione l'atteggiamento satirico con cui Emmer si accosta alla politica e alle questioni sociali. La separazione delle classi domina per tutto il film, resa fedelmente dalla rappresentazione dello spazio dove gli stabilimenti tranquilli per aristocratici e ricchi sono ben separati da quelli affollatissimi per i proletari, “E' naturale i poveri sono tanti e i ricchi sono pochi”.

Quest'opera racconta un'Italia che non c'è più, catturata in un momento storico irripetibile, ma la tematica della fuga, fulcro del film, è sempre attuale: evasione dal caldo, dai drammi della guerra, dalla propria condizione sociale e soprattutto da se stessi. “Ho voluto evadere per un giorno dalla solita vita”.