Duelles. Come spesso accade, il titolo originale dischiude una polisemia che la traduzione irrimediabilmente appiattisce: ci parla di un duello, di un’estenuante singolar tenzone in cui si consuma tutto l’arco narrativo del film, ma anche di deux elles, due donne che di questo confronto sono, a momenti alterni, parte lesa e carnefice.

Il lavoro di Olivier Masset-Depasse pullula di immagini del doppio: Alice e Céline, signore perbene inchiodate in un diorama anni ‘60, conducono un’esistenza perfettamente simmetrica in una casa di bambola bifamiliare. I mariti, i figli coetanei, i rossetti abbinati ai tailleur. Sono amiche inseparabili e figurine interscambiabili, tanto si confanno al proprio ruolo sociale, tanto si adeguano a un codice di comportamento già dato. Ma una è bionda e l’altra è mora – archetipi pregni di portati simbolici pronti a essere sciorinati e poi sconfessati. E, soprattutto, l’irrompere della tragedia scompone l’equilibrio. L’istinto materno si trasfigura da impulso ordinario e socialmente normato a brama mostruosa e indicibile. La simmetria si rompe, e si insinua l’orrore. Meglio: il perturbante, il cui spavento non deriva dal trovarsi di fronte all’ignoto, ma dalla straniante sensazione di cogliere, nel familiare, una differenza residuale e disturbante.

La messa in scena, sontuosa e composta, entra a gamba tesa: dapprima insiste sul tema dello specchio, e poi ne mostra implacabilmente le crepe. Irrompe di prepotenza nella vicenda, trasformando i rassicuranti interni borghesi in cubicoli claustrofobici. Richiama manifestamente un immaginario noto: è Douglas Sirk – il suo Technicolor fiammeggiante, le sue eroine borghesi sconquassate dalle passioni – il riferimento a cui rifarsi, lo stile da emulare e poi, post-modernamente, trasformare in maniera. Come nei melodrammi del maestro austriaco, tanto più la tragedia si fa lacerante quanto più si allarga un abisso raccapricciante tra la materia narrativa e la forma, che non rinuncia alla magniloquenza sfavillante, al barocchismo irriguardoso. E si allunga anche l’ombra di Hitchcock, da cui Masset-Depasse mutua la lezione sulla gestione drammatica della suspense, e un certo accanimento sulle devianze più spaventose della psiche femminile.

Ma l’operazione condotta in Doppio sospetto non è l’omaggio, e nemmeno la caricatura che si ingenera quando i codici sono replicati fino al parossismo. È piuttosto a Lynch e a De Palma, e al loro rapporto con i classici, che guarda questa riscrittura adulta del mélo in cui il genere, spinto alle estreme conseguenze, finisce per conflagrare. E come già i classici, in nuce, suggerivano, le radici del male sono già lì nell’ordinario, nelle gabbie per casalinghe disperate in cui si covano rancori e frustrazioni.