Gelosia all’italiana (Jealousy, Italian Style dice una delle traduzioni inglesi del titolo), seguita da un omicidio. Mastroianni aveva già ucciso in Divorzio all’italiana (anche lì: Divorce, Italian Style), nel frattempo però, nei dieci anni che intercorrono l’uscita dei due film (tra il 1961 e il 1970), il divorzio è stato introdotto a livello legale in Italia. Le motivazioni allora devono essere altre, ed è proprio qui che parte Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), non la pianificazione di un omicidio, ma la messa in scena, il ripercorrere tutti i particolari, dall’amore tra Oreste (Mastroianni) e Adelaide (Vitti) nato a una Festa dell’Unità, passando per l’arrivo del pizzaiolo Nello (Giannini), fino alla morte di lei.

Siamo appena agli inizi della carriera di Ettore Scola (Se permette parliamo di donne, il suo esordio, è uscito solo sei anni prima, nel 1964), ma già alcuni elementi che saranno ricorrenti nella sua filmografia successiva, acquistano qui una valenza che difficilmente riesce ad essere raggiunta successivamente. Il ménage à trois, per esempio, quello che poi sembra venire accennato anche in altri futuri film come C’eravamo tanto amati o Splendor, è con buona probabilità il più intenso e sfacciato della sua filmografia, tanto da venire definito ne Il Mereghetti come una "risposta proletaria al truffautiano Jules et Jim"; anche Roma è probabilmente una delle più disordinate della sua carriera, "la città più sporca d’Europa" dice il personaggio di Mastroianni, quasi più di Brutti, sporchi e cattivi. 

Roma è di plastica e piena di plastica. È quella della fine del boom economico, quella del consumismo. Alla luce delle intenzioni del film però è anche un plastico, un set dove si ricostruisce un caso, luogo della messa in scena in cui luci e fari illuminano arbitrariamente personaggi come fossero attori su un palco, che parlano in camera come se stessero recitando dei monologhi a un pubblico in sala. Poco cambia sapere che sono testimonianze in tribunale, anche perché con il teatro ha così tanti elementi in comune che sono praticamente la stessa cosa.

Testimoni/comparse che interagiscono con una voce fuori campo di un giudice che, di fatto, può essere quella di un regista, non demiurgo, ma in balia di versioni che deviano e disorientano. Si creano così due piani, audio e visivo, orale e per immagini, un piccolo labirinto di ricostruzioni che lascia lo spettatore autonomo di fronte a ciò che gli viene restituito, in quella che sembra essere una delle pieghe più postmoderne della commedia all’italiana.

A contendersi, scambiarsi e condividersi la mano di Adelaide, una delle migliori interpretazioni di Monica Vitti nella commedia all’italiana, Oreste e Nello (Mastroianni e Giannini) riescono ad essere lo specchio di due generazioni, il vecchio operaio comunista e il giovane pizzaiolo anarchico-estremista. Barcollanti entrambi, appena fuori da quella centrifuga che è stato il miracolo economico, deviano radicalmente le loro strade sotto lo sguardo lucido che Scola riesce ad avere verso il futuro prossimo dell’Italia.

La comunione tra vita politica e sentimentale non si può realizzare. Il tentativo porta a un risultato tutt’altro che previsto. Se una sofferenza d’amore non può essere paragonata alla lotta di classe, come Oreste chiede a un compagno senza ricevere risposta, sembra allora che possa essere paragonata senza ombra di dubbio a un’infermità mentale.