Nulla pare esserci di più pigro, rassicurante e ordinario dell'amicizia fra due anziane vicine di casa. A meno che le due non siano, di nascosto da tutti, il grande amore l'una dell'altra. Madeleine e Nina, dirimpettaie all'ultimo piano di un palazzo, si muovono disinvolte e feline fra i rispettivi appartamenti, attente solo a non farsi scoprire dai figli adulti di Madeleine, l'una convinta che la madre viva perpetuamente nel ricordo del padre defunto, l'altro – che inconsciamente abbia intuito qualcosa? - rabbioso sostenitore del fatto che non soffra a sufficienza del lutto. Quando un evento decisivo sovverte il consolidato tran tran, le due troveranno nuovi modi per stare insieme a tutti i costi.

L'amore disperato fa fare cose disperate, sembra dire Filippo Meneghetti, italiano emigrato oltralpe, in Due, sua opera prima scelta dalla Francia per la corsa agli Oscar 2021, non approdata alla cinquina delle nomination ma comunque rientrata nella shortlist pre-finale. Con molta camera a mano, Meneghetti segue da vicino le ottime Barbara Sukowa e Martine Chevallier, illudendo dapprima lo spettatore di star raccontando solo una storia di tormenti familiari per poi, con uno scarto subitaneo quanto gli eventi della vita, spostare il focus dall'una all'altra protagonista e immergersi in qualcos'altro di machiavellico.

Non si incentra solo e tanto sull'omofobia Due, quanto piuttosto su vari irrisolti che ci aleggiano attorno come società: la percezione dell'omosessualità, certamente, ma anche la difficoltà ad accettare la sessualità dei propri genitori, nella sfera privata, e quella in senso più largo degli anziani, in particolare se donne, nella sfera pubblica. È un film di occhi e spioncini delle porte, di incertezza dello sguardo altrui, che non si sa mai se giudicante o meno: sono vuoti gli occhi di Madeleine, oppure no? Sono vuoti gli spioncini degli appartamenti, o dietro si nascondono attenzioni malevole?

Meneghetti, pur con poca attenzione alle figure maschili, monodimensionali e aggressive, porta avanti un punto di vista equidistante dalle ragioni di tutti i personaggi, argomentando nondimeno sul senso di tradimento e spiazzamento esistenziale provato da Anne, la figlia di Madeleine. Per far giungere lo spettatore a delle conclusioni su come dovrebbe finire auspicabilmente la storia, gioca non di retorica ma di raziocinio. Anzi volutamente immette nel suo personaggio principale un notevole grado di bassezza ed egoismo, quasi a dimostrazione di come sia giusto e logico che le sue istanze trovino ragione nonostante le sue meschinità, e non per causa di una circostanziale empatia e approvazione. In fondo, le modalità argomentative di Indovina chi viene a cena? dovrebbero essere superate da un pezzo.