Se si volesse tracciare una storia complessiva del blockbuster, a partire dagli anni Settanta – Lo squalo di Spielberg, primo blockbuster contemporaneo, è del 1975 – fino ad oggi, non si potrebbe non considerare Dune – Parte due come simbolo del blockbuster dei giorni nostri. Questo non perché sia per forza migliore di altri film analoghi di questi anni, ma perché, ancora più del suo predecessore, propone una formula che si inserisce perfettamente all’interno dei dibattiti odierni sul cinema.

Il presente scenario mediale, l’imporsi degli universi condivisi e le numerose posizioni pubbliche, spesso controverse, di importanti registi hanno fatto sì che di recente si arrivasse ad individuare un conflitto tra cinema d’autore e cinema spettacolare ad alto budget. Per quanto si basi su presupposti sbagliati, questa divisione infiamma spesso le discussioni intorno al cinema contemporaneo, facendo leva sull’idea che la produzione ad alto tasso spettacolare non possa coincidere con una visione autoriale forte. Mentre da un lato il lavoro di Christopher Nolan si è imposto come un’eccezione a questa “regola”, dall’altra Denis Villeneuve con i suoi Dune dimostra a sua volta come una distinzione di questo tipo sia quantomeno semplicistica.

Il primo Dune si caratterizzava per un ritmo lento, che, coerentemente con i presupposti con cui era nata questa operazione di adattamento, consentiva di ripercorrere fedelmente il romanzo originale. Come conseguenza di questa scelta narrativa, però, il primo film finiva per essere una promessa e un’anticipazione di uno spettacolo successivo. Dune – Parte due, pur con il medesimo ritmo cadenzato del suo predecessore, aggiunge una dose d’azione e di spettacolarità visiva che lo rendono un’opera formalmente molto diversa.

Dune – Parte due è un film che si rivolge ad una platea potenzialmente più ampia: i conflitti più evidenti, il ricorso frequente a strutture melodrammatiche e una dimensione seriale meno aperta fanno di questa pellicola un racconto più accessibile, più compatto e, in fin dei conti, più piacevole.

Tuttavia, la visione estetica che filtra ogni elemento del film, attribuibile sia a Villeneuve sia alle caratteristiche del romanzo originale, fa sì che Dune – Parte due segua una direzione autoriale precisa per tutta la sua durata, la quale nei momenti climatici ribalta le aspettative, ponendosi effettivamente come un blockbuster diverso.

Dune – Parte due non racconta semplicemente una storia di guerra tra due schieramenti, ma, proprio come il primo film aveva iniziato a fare, riflette tramite la fantascienza su temi che riecheggiano ferocemente la nostra contemporaneità, come il colonialismo, l’imperialismo, i cambiamenti climatici e le crisi in Medio Oriente.

La complessità di tali temi, che chiaramente nel film vengono altamente ridimensionati, ha come risultato il fatto che in Dune – Parte 2 non esistano buoni e cattivi, ma ci siano invece personaggi le cui storie individuali sono irrilevanti rispetto alle questioni più grandi e le ragioni dei singoli siano dettate da situazioni collettive. E questo si riflette anche nel modo in cui sono scritti e messi in scena i personaggi, a partire da Paul Atreides (Timothée Chalamet), raccontato con un distacco che da un lato ci consente di osservare dall’esterno la sua drastica evoluzione e dall’altro dà dimostrazione di come Dune sia una storia di popoli, non di singoli.

Proprio questo incontro tra spettacolarità e complessità – che diventa anche una complessità visiva e sonora, determinata dall’impronta di Villeneuve – è la formula di Dune – Parte due, una formula tutt’altro che nuova, che già a partire da Matrix si era fatta riconoscere per come aveva saputo unire riferimenti postmoderni e ambizioni seriali e transmediali ad uno sguardo autoriale inconfondibile.

Dune – Parte due rappresenta bene cosa può essere il blockbuster di oggi, un luogo dove le diverse anime del cinema contemporaneo convergono con successo e dimostrano che franchise e spettacolarità non significano per forza standardizzazione.