Le voci nel racconto vanno e vengono, svaniscono, si accavallano; vediamo continuamente persone parlare, scambiarsi informazioni riguardanti il seguito bellico, alzare guardinghi gli occhi al cielo, scrutare le maree e non lasciarsi sfuggire la presa terrestre, ma non si sa Chi parla realmente nella storia né che tipo di prospettiva adottare per calarci in essa.
In Dunkirk, infatti, non vi è un personaggio né un determinato punto di vista narrativo a priori, essendo pieno appannaggio dello spettatore deciderlo, consapevole, tuttavia, di trovarsi "in un universo a sé in cui si può viaggiare in lungo e in largo, entrare, uscire, perdercisi". In quest’affermazione Italo Calvino condensava tutta la specificità del procedere narrativo e antilineare ariostesco, secondo quella tecnica, propria anche dell’incedere nolaniano, del parallelo snodarsi di uno scenario d’ampio orizzonte in tante diramazioni e periferie distanziate l’una dall’altra.
Al Lumière, in una tenzone critica su quest’ultimo film di Nolan, si è discusso, tra i vari argomenti, anche del consueto andirivieni spaziotemporale cui il regista non sa proprio come resistere. Nel caso di Dunkirk, l’entrelacement pocanzi citato si realizza nel più assoluto rispetto dell’esattezza formale e di una precisione indiscutibile nel riprendere tutti gli incastri e le trame sospese, senza mai permettere alla casualità di irrompere nella narrazione, infrangendo così l’ordine artificiale. Formalmente impeccabile e monumentale, capace di smuovere i gangli emotivi dello spettatore anche più restio a un tal genere di sollecitazione, Dunkirk sarebbe stato più alto e permeante di come già è se Nolan avesse aderito in maniera ancora più puntuale – e non soltanto sul lato apparente ed estetico – al concreto terreno della prassi storica.
Nel racconto di una tale disfatta militare, dove a primeggiare è lo spirito di unione, in tal caso franco-inglese contro il nemico – e la volontà del comandante Bolton\Kenneth Branagh di restare a fianco dei francesi ne è la prova lampante -, manca l’essenziale punto di vista sull’Altro, quell’altro-inglese e tutta la compagine di militari provenienti da ogni parte dell’impero inglese. In un contesto sociale come quello odierno, dove a vigere è la paura verso chi vive oltre la nostra comfort zone, uno sguardo, anche fugace, sulle problematiche di una tale micro realtà sociale e culturale avrebbe reso il film ancora più potente e d’impatto: aderire, in tal modo, a quel senso di civitas romana che travalichi la mera condizione d’esistenza geografica o territoriale, fondendo – ma non assorbendo - ogni diversità in un unicum così da ricavarne un orizzonte semantico che avrebbe permesso di soffermarsi maggiormente sulle contraddizioni e problematiche di ogni singolarità umana.