“Il mio barocco è apparente: dove sembra che io gridi, in realtà taccio o bisbiglio". Questo piccolo (eppur granitico) pensiero di Gesualdo Bufalino è stata la prima cosa che mi è saltata in mente quando ho appreso della morte di Ennio Morricone. Come un vestito, la frase si è cucita addosso alla sua figura e mi ha ossessionato per i giorni a venire. Ho visto gran parte del mondo concorde inchinarsi — quasi un riflesso incondizionato, cosa bella e mai scontata — nell’omaggiare la grandezza del compositore, ma l’aspetto che più mi ha commosso dell’intera faccenda è che ci si inchinasse davanti a una figura professionale tanto rumorosa quanto silenziosa e discreta. Sono quindi più che mai convinto che la domanda che dobbiamo porci, soprattutto oggi, sia questa: perché Ennio Morricone è stato il più grande?

Prima dei film, c’erano le canzonette. Per intenderci: prima del verso del coyote (galeotto fu il Washington Post, per quanto efficace nel raccontare l’unicità di un suono), c’era “a-a-bbronzatissima.” Vianello, Tenco, Paoli, Mina: se è vero, come canta Paolo Conte, che “è tutto cinema, cinema, cinema”, la colonna sonora italiana sul finire degli anni ’50 e degli interi — “favolosi” — anni ’60 Morricone già la scriveva per la RCA. E se in contemporanea avveniva l’incontro col cinema di Salce, Mastrocinque e Wertmüller, il primo elemento per comprendere la grandezza del compositore sta proprio nel Morricone “pop”, nel suo spirito fortemente anti-snobista e nella sua indomabile curiosità.

Quando si pensa alla colonna sonora di un film spesso si fa l’errore di confondere il concetto di “musica al servizio delle immagini” con una certa passività nei confronti dell’opera. Morricone, au contraire, ha sempre combattuto contro il modello unico del compositore, rifiutando ogni tipo di standardizzazione. Non è un caso che nelle sue creazioni si mischino jazz, rock, beat, samba, Beethoven e la grande musica classica in maniera spesso anacronistica rispetto al diegetico. L’autonomia della composizione è uno statuto che Morricone ha coltivato nel perseguire con costanza un’etica-poetica, la stessa per la quale ha rifiutato il ruolo “sedentario” di assistente musicale in RAI. L’atto del comporre per Morricone ha significato studio, tensione passionale, libertà come forma di disciplina, la ricerca di una struttura indipendente che ancora oggi ci permette di riscoprire la nostra capacità a intravedere, messa sempre più a dura prova nell’epoca della visibilità totale. Grazie a Ennio Morricone, un fischio, una chitarra elettrica col riverbero corto “rubata” direttamente al surf rock e persino lo scacciapensieri, sono diventati western nell’immaginario popolare collettivo.

Mentre si sviluppava l’iconica collaborazione con Sergio Leone, Morricone militava, parallelamente, in quella che possiamo considerare a tutti gli effetti la Carboneria dei compositori italiani. Il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza rappresenta la seconda fondamentale tappa per riuscire a inquadrare la figura di Morricone nel contesto filmico (e non solo): l’unione di compositori-esecutori quali Franco Evangelisti, Walter Branchi ed Egisto Macchi (recentemente recuperato dai fratelli D’Innocenzo nella colonna sonora di Favolacce) era un tentativo di dialogare criticamente col contemporaneo e di ricostruire, a partire dalla sua de-costruzione, proprio la figura professionale e creativa del compositore, affinché restasse soprattutto un musicista. Aggiunta e sottrazione, rumore e silenzio. “Ricordare quel che c'è da cancellare” — come canta Depardieu nel tema chiave di Una pura formalità — un paradosso del quale Ennio Morricone si fa portavoce nell’affrontare non solo i famigerati western, ma anche (e soprattutto) i thriller, i poliziotteschi e persino la fantascienza, sulla scia di Umiliani, Cipriani, Frizzi e Ortolani.

Ennio Morricone è stato il più grande perché non ha mai smesso di mettersi in discussione. Produzioni grandi o piccole, non faceva alcuna differenza. Morricone aveva capito prima di noi che il cinema è la più complessa tra le arti popolari, la sovrapposizione più preziosa di arte e industria, strumento fondamentale per leggere i cambiamenti storici e socio-culturali dei popoli, e come tale l’ha trattato, fino alla fine. Nelle retrovie ha coltivato uno spirito di avanguardia pop al contempo drammatico e ironico, sempre disposto a esplorare l’odierno e a dialogare con linguaggi diversissimi per crearne uno inedito, personalissimo, che è tutt’ora capace di evocare immagini indipendentemente da esse.

Morricone è un bisbiglio che è diventato boato.