Quello di Sophie Letourneur è un cinema che non teme di confrontarsi con gli stereotipi legati al cosiddetto binarismo di genere, e che, sorprendentemente, non si fa remore neanche a mostrare, con umorismo e sfrontatezza, elementi legati al femminile che vengono di volta in volta problematizzati con leggerezza e gusto per il paradosso o sottolineati con giocosa autoironia. Se in Enorme mette in mostra la maternità, decostruendone il mito e il luogo comune piuttosto sessista legato al suo aspetto “naturale”, anche nei titoli precedenti Letourneur si rifiutava di confrontarsi utilizzando toni ombelicali e intellettualistici con aspetti delicati della propria esistenza e della vita di una donna. Coerentemente con il candore narrativo, il suo è un cinema che si muove agilmente e senza affanni anche da una forma di linguaggio cinematografico a un altro, passando dal racconto semi documentaristico ai toni della fiaba o della slapstick comedy.

Dal suo film d’esordio in poi (tutti i suoi titoli si possono vedere sulla piattaforma Mubi) iI filo narrativo resta ancorato al racconto autobiografico - di volta in volta approcciato in maniera più o meno metaforica, realistica o farsesca - che sembra seguire le tappe della crescita emotiva ed esistenziale della regista stessa. Nell’esilarante Les Coquillettes si spingeva senza timore sul crinale della vacuità e dell’inconsistenza per mostrare sé stessa e due amiche che al Festival di Locarno vagavano di festa in festa alla ricerca spasmodica di flirts, nel totale disinteresse verso i titoli arthouse proiettati, arrivando a “stalkerare” l’attore e regista Louis Garrel. Il seguente Gaby Baby Doll si rapporta ironicamente con il timore della solitudine e del confronto adulto con sé stessi e con l’altro, ma lo fa utilizzando un linguaggio favolistico e surreale e inseguendo l’immancabile happy end delle commedie romantiche.

In maniera dissacrante, antiretorica ed estremamente sincera, Sophie Letourneur sembra volerci dire che nel contemporaneo i caratteri storicamente legati ai ruoli di genere non sono (almeno dal suo punto di vista) ancora inseriti nel regno dell’indistinto e dell’intercambiabilità, ma che possono essere di volta in volta ribaltati e contraddetti (Enorme) o esposti, senza l’ombra di imbarazzo o senso di inadeguatezza, nella loro persistenza e atemporalità (Les Coquillettes, Gaby Baby Doll).

In Enorme Letourneur ci mostra dunque una coppia ad oggi purtroppo ancora anti canonica, all’interno della quale la famosa pianista Claire Girard, in tour con il fidanzato – manager – segretario – aiutante e tuttofare Fred, si ritrova suo malgrado a confrontarsi con il repentino e fino ad allora silente istinto materno di lui: e dico materno, perché nell’arco del film Fred subirà una vera e propria mutazione anche fisica andando a ricoprire lui il ruolo di madre in maniera assai più fluida e spontanea rispetto a Claire. Per Claire al contrario la gestazione sarà vissuta come una vera e propria esplosione aliena, e la crescita inarrestabile della pancia, un immenso handicap e fardello, ne sarà l’immagine simbolica.

Tanto Claire, nel suo minimalismo di gesti, nell’insofferenza per il suo stato e nella sua basita passività, quanto Fred, nel suo macchiettistico e caricaturale entusiasmo da mammo, sono rappresentati dalla regista in chiave satirica e leggermente alienata, a sottolineare il fatto che non ci sono linee rette e approcci univoci quando ci si confronta col mistero dell’esistenza e della nascita. E se, nelle interminabili scene dedicate all’attesa del parto, condividiamo con la coppia un senso di esasperazione, l’epifania della natalità, ancora avvolta dal suo insondabile enigma, ci avvolge e ci interpella nelle inquadrature finali.