Giocare con la morte, sfidarla e cercarla: l’adolescenza è pervasa anche di questo umore. In Falcon Lake, primo lungometraggio della quebecchese Charlotte Le Bon, la si contempla subito, in un corpo che galleggia a pancia in giù sulla superficie di un lago, e la si ritrova, indecifrabile come la fine dell'estate, nell’ambiguo finale su una banchina di quello stesso specchio d'acqua.

A evocarla in apertura, alla ricerca di emozioni forti in prolungata posa di morto a galla, è una ragazza di sedici anni, Chloé, che vive in una diroccata “cabin in the wood” sulle rive del lago canadese. Ad assistere alle sue messe in scena di morte, lei che si diverte come il coetaneo Harold di Harold e Maude a fingersi senza vita, è Bastien, tredicenne in vacanza con genitori e fratellino proprio a casa di Chloé e di sua madre, scombinata amica di famiglia. Ma è una strana estate, piovosa e minacciosa, quella che fa sbocciare la loro amicizia, che la giovane regista delinea accostando al rapporto sincero e nudo fra Bastien e Chloé un perturbante elemento gotico a cavallo fra dramma e horror.

Accampato alla bell’e meglio nel bosco, in una sistemazione precaria e sinistra che richiama apertamente la casa del Norman Bates di Psycho, il cui poster addobba la mansarda di Chloé, Bastien si avvicina nell’anima e nel corpo alla ragazza, sorella, madre – di lui e di se stessa – ma soprattutto primo oggetto di desiderio e scoperta del mondo femminile. Se lui è facilmente strappato da Chloé ai cartoni animati che ancora guarda con il fratello minore, la ragazza gioca innocente, in una dimensione sessuale ancora intatta, fra interesse, provocazione e allontanamento, regista inquieta dell’altalena emotiva e ormonale del ragazzo. Fino al sommo, imperdonabile tradimento che manda a picco gli eventi.

Tanti i riferimenti cinematografici cui si appella con freschezza e riverenza la brava Le Bon: la confusione depressiva dei giovani di Gus Van Sant e la sua stessa fascinazione per cieli plumbei di nuvole in moto; lo Stand by me di Reiner&King, con i suoi ragazzini in missione segreta nei boschi alla ricerca del corpo senza vita di un compagno di scuola; il Cianfrance di Come un tuono nelle inquadrature dall’alto di una strada in mezzo al verde e di un giovane ossuto che la percorre su due ruote; i già citati Ashby e Hitchcock (niente meno che). Ma c’è soprattutto il David Lynch di Twin Peaks in quei boschi oscuri scossi dal vento, non distanti, nella geografia e nelle intenzioni d’autore, dalla cittadina in cui è (forse) morta la diciassettenne Laura Palmer a inizio anni Novanta.

Perché può essere, come racconta Chloé a Bastien, che sia annegato un ragazzo nelle acque spettrali del lago Falcon, e che quel ragazzo sia ancora indeciso fra mondo dei vivi e dei morti come  lo sono Bastien e Chloé, vittime ignare dell’eterna maledizione della crescita, fra adolescenza e giovinezza. Le Bon adatta il romanzo grafico Una sorella di Bastien Vivès insinuando in Falcon Lake l’eco del pericolo reale e omicida del farsi grandi, che uccide fra mille resistenze e difficoltà la versione infante di ciascuno, e dice che quella ferita ineluttabile è un gioco per lo più solitario fra repliche spiritiche di sé e dell’al di là.

Non è così, dopotutto?