C’è un filo conduttore che percorre tutta la filmografia di Michael Mann, una costante ricerca di profondità e tensione emotiva attraverso gli elementi del dinamismo cinematografico. Un affastellamento di inseguimenti, indagini e ricerche che hanno portato questo autore a trascendere il semplicistico epiteto di Maestro dell’action, concedendogli un più ampio status autoriale di abile manipolatore della tensione visiva attraverso i meccanismi cinetici della settima arte.

A otto anni di distanza dal suo ultimo lavoro, Mann torna su schermo con un biopic che incontra la sua idea di cinema, la sua visione del mondo plasmata da un flusso di immagini in costante movimento. L’affresco sulla vita di Enzo Ferrari è collocato in quel fatidico 1957, anno in cui la scuderia del Cavallino Rampante si trovò ad attraversare un momento di grave difficoltà economica, e culminato con una tanto trionfale quanto funesta edizione della Mille Miglia.

La leggendaria corsa automobilistica in quell’occasione vide tre vetture di Maranello sul podio, ma fu anche scenario del terribile incidente che costò la vita al ferrarista Alfonso De Portago, al suo copilota Edmund Gurner Nelson e a nove spettatori travolti mentre assistevano alla corsa a bordo strada.

Non sono infatti l’opulenza ed il prestigio del fiore all’occhiello dell’industria automobilistica italiana che interessano Mann, il quale fin dalle prime inquadrature ammanta il suo racconto di una sfumatura crepuscolare, intrisa di malinconia e abitata da figure eteree legate al passato ma costrette a vivere un presente straniante.

Lo stesso protagonista (Adam Driver) viene introdotto come una presenza quasi spettrale, che svegliandosi al mattino nel letto dell’amante Lina Lardi (Shailene Woodley) a Castelvetro, raggiunge l’abitazione che condivide con la moglie Laura (Penélope Cruz) nel centro di Modena muovendosi come un’ombra. Non è forse un caso che nel corso di questo tragitto la sua presenza venga notata solo dal giovane De Portago (Gabriel Leone), personaggio dal destino tragicamente segnato che perseguita Enzo, aggiungendosi alla cerchia dei fantasmi che danzano attorno a lui. 

L’Enzo Ferrari ritratto da Michael Mann è un uomo tormentato dal ricordo degli amici persi in pista anni addietro e soffocato dall’impotenza per non essere riuscito a strappare il figlio Dino ad una morte prematura. Con questo opprimente patrimonio emotivo, in cui gli affetti perduti si accompagnano all’angoscia per un’eredità mancata, Ferrari si scontra con un mondo che non sembra più appartenergli, tra difficoltà economiche che rischiano di vedere il marchio cadere in mani straniere, alla concorrenza entro i confini nazionali che giunge a minacciarne la leadership.

Le criticità esposte si intrecciano e convergono inesorabilmente verso la classica automobilistica prevista tra l’11 ed il 12 maggio dello stesso anno. Non solo un traguardo sportivo che potrebbe rinvigorire il prestigio della Casa, risollevandola di conseguenza anche dal punto di vista finanziario, ma anche un rituale pagano, in cui la meccanica di un’automobile lanciata sull’asfalto acquisisce il potere soprannaturale di ricomporre gli equilibri perduti e risanare Ferrari non solo in quanto imprenditore, ma anche in quanto ad essere umano all’interno di un mondo che vive e progredisce.

Di dinamismo si parlava in apertura, e il dinamismo è la marca registica che Mann utilizza anche in questo caso. I movimenti sinuosi, eleganti e talvolta a malapena percettibili, che rivelano la cupa interiorità dei personaggi, si alternano agli stacchi forsennati che risuonano del ruggito delle vetture.

Ampie inquadrature aeree si stringono fino ad affiancare o precedere i bolidi da corsa, i volti sporchi e ghignanti dei piloti per catturarne ora il senso di adrenalina ora quello di disperazione. Al termine di questo moto perpetuo, oscillante tra mondi comunicanti, ma non integrati, non tutte le ferite vengono rimarginate e la pace rimane una condizione verso cui tendere e non una ricompensa acquisita.

Ciò che resta però, è una fiducia nei confronti dell’avvenire, in quel perenne movimento che genera la vita e consente avanzare, a velocità alterne ma senza soluzione, fino a lasciarsi indietro gli spiriti del passato.