È possibile emanciparsi dai ricordi e dal dolore? Qual è la parità di un essere umano rispetto alle fragilità del proprio animo? Aiutare gli altri per atto di altruismo o per il latente egoismo che alberga in ognuno di noi? Nel cinema di Krzysztof Kieslowski ci sono tre colori per rispondere a queste domande.

Torna in sala dopo trent’anni, in versione restaurata dalla Lucky Red, la Trilogia dei colori, la sinfonia visiva all’insegna del blu, bianco e rosso della bandiera francese sulla base dei valori di “Liberté, Égalité, Fraternité. “L’Occidente ha affrontato questi tre concetti su un piano politico e sociale, ma su quello personale è una cosa completamente diversa“ dichiara il regista nato a Varsavia che con Film Rosso chiude la saga della Trilogia più famosa del Cinema d’autore contemporaneo.

Rouge. Fraternité. “La gente non è cattiva. Forse, qualche volta non ha la forza”. Lo sguardo limpido di Valentine (Irene Jacob), una modella sensibile e piena di vita, inciampa fortuitamente nella solitudine orgogliosa e superba di un vecchio giudice in pensione, Joseph - un magistrale Jean-Louis Trintignant – che trincerato nella sua abitazione, riempie i suoi vuoti intercettando le telefonate dei vicini. Rouge, rosso, come carica positiva ed energica, portatore di calore in un mondo in cui non è difficile essere rapiti dall’indifferenza e dall’apatia sociale.

“Rouge” anche come fil rouge, quel filo rosso del telefono mostrato nella sequenza iniziale del film, capace di attraversare le cavità sottomarine e terrestri ma non abbastanza da condurre alla sfera dell’emozione, dell’ascolto e dell’apertura. Cosa spinge il giudice Joseph a origliare le conversazioni di altre persone? Come fare a uscire da quella quiete infernale che anestetizza il senso e quindi, la vita?

“Non è difficile da indovinare...” - frase ricorrente durante i dialoghi di questa pellicola scritta con il suo sceneggiatore di sempre Krzysztof Piesiewicz - che quello che interessa a Kieślowski è negli occhi, nella bocca, nella smorfia, nella parola. Si trova in tutto quello che è dannatamente intimo. La calma della città di Ginevra svela possibili salvezze ai personaggi solo grazie all’ascolto autentico, quello che porge l’udito alla vita. Quello che fa mettere giù la cornetta del telefono, perché davanti a noi c’è chi comprende che siamo fragili e non possiamo farci nulla. Il viso puro e luminoso di Valentine non può che fungere da vero contatto intermediario con il mondo esterno, al quale il nostro protagonista non è più abituato.

“Sono entrambi convinti che un sentimento improvviso li unì”. Quando poesia e cinema fanno fair play. Chissà se a Wisława Szymborska sarà mai capitato di vedere un film del Cineasta polacco. Quest’ultimo, in un’intervista dichiarò che una poesia della WS Amore a prima vista raccontava esattamente Film Rosso. Ed ecco assistere alla chiamata dell’Altro, dove i visi di ognuno sono capaci di farsi portatori di sentimenti inesprimibili e il Caso e la Necessità agiscono in sostituzione di un Dio latitante. Un “caso” spiacevole, l’investimento del cane del giudice da parte di Valentine alla guida della sua automobile, asfalta l’indifferenza che sottintende egoismo, ma poi rivela debolezza.

“Il derubato che sorride ruba qualcosa al ladro” sentenzia Pasolini cantato da Modugno in “Cosa sono le nuvole”. Si attua adesso lo scambio dei ruoli, vediamo prestare il viso di Trintignant alla chiamata d’aiuto nello sguardo della Jacob. Lo stesso che le viene rubato in uno scatto per occupare un cartellone pubblicitario stradale. Sguardo che viene colto da Auguste, giovane magistrato che, parallelamente per tutto il film, sembra ricalcare la stessa vita del vecchio giudice e mai incrociare lo sguardo di Valentine. Un invito a rendere la vita in cambio della vita perché “nulla è in regalo, tutto è in prestito”. Non un giudizio, ma un consiglio, questa volta alberga nelle parole del giudice.

Nessuno si salva da solo, lo dimostrano i personaggi di tutti e tre i colori di Kieślowski che trovano salvezza in un naufragio, tutti insieme.